Madagascar 2024

Da Torino a Antanarivo

28 luglio domenica

Partenza da Torino alle 15:30, con il cuore colmo di emozione per l’inizio del viaggio. Arriviamo a Parigi nel tardo pomeriggio, dove trascorro alcune ore in attesa del volo successivo. Finalmente, alle 22, decolla l’aereo che ci porterà a Mauritius, punto di partenza per la mia avventura.

Air Mauritius?

29 luglio lunedì

Arrivo a Mauritius alle 10, pieno di entusiasmo per la mia avventura alla scoperta di un’isola affascinante come il Madagascar. Il volo per Antananarivo era previsto per le 14, ma ci informano che partirà alle 18 poiché l’aereo non è ancora arrivato. Ci offrono un pranzo a base di riso fritto con uovo e pollo, discreto, anche se la mia mente è già proiettata verso i sapori esotici che mi aspettano. Finalmente, alle 18 ci imbarchiamo, ma dopo soli 30 minuti di volo, il comandante ci comunica che c’è un problema tecnico e dobbiamo tornare a Mauritius. L’hostess diventa pallida, e l’ansia inizia a serpeggiare tra i passeggeri, me compreso. Atterriamo a Mauritius con un misto di sollievo e frustrazione; ci fanno scendere con tutti i bagagli, e ci offrono una cena a base di croque monsieur e patatine fritte, ma la qualità del cibo lascia molto a desiderare. La partenza viene posticipata più volte, e finalmente, distrutti, decolliamo alle 22. Atterriamo a Tana alle 23:30, stanchi ma sollevati. La strada verso l’hotel attraversa un centro malandato, pieno di prostitute e giovani dall’aria poco rassicurante, che ci lascia un’impressione poco piacevole. Finalmente arriviamo all’Hotel des Roses all’una di notte. La nostra guida ci accoglie con un sorriso caloroso e un italiano perfetto; è estremamente gentile e ci fa sentire subito a nostro agio. L’hotel è carino, ma la stanchezza è tale che, nonostante il desiderio di riposare, facciamo fatica ad addormentarci. E così, inizia la nostra avventura in Madagascar, con un mix di emozioni e la promessa di scoprire un’isola unica, abitata da persone cordiali e accoglienti.

Da Tana a Miandrivazo

30 luglio martedì

Alle 6 del mattino (che per il nostro fuso sarebbero le 5) la sveglia suona, annunciando l’inizio di una nuova giornata di avventure. Come fotografi appassionati, siamo pronti a catturare l’essenza unica del Madagascar. Dopo aver sistemato i bagagli, facciamo una buona colazione e partiamo alle 7. Incontriamo Francis, il titolare di Sobeha, che ci accoglie con un caloroso sorriso e ci prepara per la lunga giornata sulla RN7. Questa strada, già disastrata all’inizio, peggiora man mano che proseguiamo, ma il paesaggio è mozzafiato: ci troviamo su un altopiano dove le risaie a riposo, trasformate in orti verdissimi, disegnano un mosaico di colori e vita.

Mentre viaggiamo, osserviamo numerosi contadini al lavoro nei campi. Con stupore, notiamo che non usano l’aratro, ma vangano la terra a mano, un lavoro duro che testimonia la loro incredibile resistenza e dedizione. I villaggi che attraversiamo sono semplici ma affascinanti, con case colorate, strette e alte che aggiungono un tocco di vivacità al paesaggio. Sul bordo della strada, vediamo donne e bambini impegnati in un lavoro estenuante: spaccano pietre. Ci spiegano che gli uomini estraggono grandi lastroni di granito dalla montagna, li trasportano in paese su rudimentali carriole, e poi le donne li riducono in blocchi a colpi di mazza, mentre i bambini li frantumano in ghiaia per l’edilizia.

Arriviamo ad Antsirabe, dove ci fermiamo a pranzo in un ristorante molto elegante. Gustiamo un delizioso filetto al pepe di zebù, tenerissimo e pieno di sapore, un vero piacere per il palato. Proseguendo il nostro viaggio, il paesaggio diventa sempre più montuoso, e vediamo che la popolazione locale si dedica principalmente alla pastorizia, allevando mucche e zebù. Lo zebù, con le sue grandi corna e la vistosa gobba, è una presenza imponente e affascinante.

 

 

Verso il tramonto, attraversiamo alcuni villaggi e ci fermiamo a fotografare i contadini e i pastori che rientrano dai campi. Il cielo si tinge di rosso fuoco, regalando uno spettacolo naturale che sembra dipinto apposta per noi. Tuttavia, il buio arriva rapidamente e presto ci troviamo a dover affrontare un imprevisto: la macchina comincia a surriscaldarsi. Ci fermiamo diverse volte, e l’autista appare sempre più perplesso. Lo vediamo svitare a mani nude i tappi del serbatoio dell’acqua e del radiatore, senza nemmeno un paio di guanti. Non avendo altra scelta, l’autista e la guida versano tutta l’acqua potabile che avevamo (ben sei bottiglie da 1,5 litri, oltre alle loro) nel radiatore, ma inutilmente: l’acqua viene subito espulsa.

Dopo ore di conversazione telefonica con un meccanico, l’autista prende una decisione inaspettata: taglia la cinghia del condizionatore, anche se non capiamo il motivo. Intorno a noi, il buio è totale, ma la via lattea sopra di noi è spettacolare, un contrasto stridente con la nostra situazione. Preoccupati per la nostra sicurezza, chiediamo alla guida di accendere le doppie frecce, ma lui sembra sorpreso da questa richiesta.

Dopo parecchio tempo, vediamo passare alcuni “Taxi brusse” e altre auto, ma nessuno si ferma ad aiutarci. La guida allora chiama un’altra vettura della compagnia, che era già arrivata al nostro hotel a Miandrivazo. Dopo circa un’ora, l’auto ci raggiunge e tenta di risolvere il problema del guasto, dimostrando una certa competenza, ma senza successo. Alla fine, ci riporta in hotel, affrontando un lungo percorso di un’ora su una strada dissestata a velocità sostenuta. La sensazione è quella di essere su una montagna russa, ma finalmente arriviamo a Miandrivazo intorno alle 22. Esausti, ci gustiamo due ottimi spiedini prima di crollare nei nostri letti. Così si conclude una giornata intensa e ricca di emozioni, ma siamo già pronti per le prossime avventure che questa terra unica ci riserverà.

Da Miandrivazo a Morondava

31 luglio mercoledì

Al mattino presto, ci svegliamo con la luce dorata che inonda il villaggio di contadini proprio accanto al nostro albergo. Come fotografi, è un’occasione perfetta: la luce è magnifica e catturiamo immagini di numerosi bambini, i cui sorrisi puri rendono ogni scatto unico. Sono incredibilmente educati e, in silenzio, aspettano pazientemente il loro “bon bon” senza fiatare. Nel villaggio coltivano campi di granoturco, fagioli e zucche, spesso nello stesso terreno, seguendo la tradizione agricola locale.

Partiamo alle 10:30, con un po’ di ritardo perché l’autista e il mezzo sostitutivo non sono ancora arrivati. Iniziamo un lungo viaggio di trasferimento attraverso paesaggi in continua trasformazione: passiamo da distese simili al bush africano a risaie verdissime che disegnano il panorama. Lungo la strada, vediamo i villaggi provvisori dei nomadi. Vivono producendo carbone, abbattendo e bruciando alberi in maniera illegale, ma nessuno sembra preoccuparsene. È un’attività devastante per l’ambiente, ma tristemente diffusa.

A un certo punto, incontriamo un gruppo di oltre cento giovani uomini, armati di fucili e accette, che camminano lungo la strada. La guida ci spiega che si tratta di una spedizione punitiva. Quando vengono rubati degli zebù, la comunità segue le tracce dei ladri finché non li trova. Chiedo alla guida cosa accada una volta trovati i colpevoli, e lui mi guarda con aria incredula, come se la mia fosse una domanda superflua. “Gli sparano, ovviamente”, risponde senza esitazione.

A metà strada ci fermiamo in un piccolo villaggio per una pausa pranzo. Alcune bambine si avvicinano e ci chiedono dei bon bon. Gian, con un gesto forse un po’ ingenuo, mostra il contenitore pieno di caramelle. In pochi secondi, una trentina di bambine lo circondano e cercano di prendere più dolci possibili. La situazione diventa caotica, e Gian è costretto a rifugiarsi in macchina, chiudendosi dentro per sfuggire all’assalto innocente ma esuberante.

Proseguiamo il viaggio verso Morondava, dove ci attende un magnifico albergo in stile indonesiano, affacciato direttamente sulla spiaggia. Nel tardo pomeriggio, usciamo a fotografare le barche dei pescatori adagiate sulla sabbia, mentre il sole scende all’orizzonte, tingendo il cielo di colori caldi. Il tramonto è spettacolare, e non perdiamo l’occasione di immortalare la bellezza di questo momento.

La giornata si conclude con una cena in un ristorante del paese. Anche se l’attesa è interminabile, ne vale la pena: il piatto che ci servono è delizioso, un perfetto mix di sapori locali che ci fa dimenticare la lunga attesa. Con la pancia piena e la mente piena di ricordi, ci ritiriamo nel nostro albergo, pronti per un’altra giornata di esplorazioni e nuove scoperte.

1 agosto giovedì

Usciamo dalla camera alle 6 del mattino, pronti per una nuova giornata di avventure, ma la colazione non è ancora pronta, quindi ne approfittiamo per scattare qualche foto alla spiaggia davanti al Laguna Beach. L’alba ci regala uno spettacolo magnifico: il sole che sorge lentamente illumina le barche dei pescatori ancorate sulla riva, creando un gioco di luci e ombre che catturiamo con le nostre fotocamere.

Nel frattempo, la guida ci informa che c’è una piccola perdita nel radiatore dell’auto. Hanno applicato della colla per ripararla, ma dobbiamo aspettare che si asciughi prima di partire. Verso le 10 finalmente ci mettiamo in marcia. Appena usciti dalla zona dell’albergo, la strada si trasforma subito in uno sterrato difficile e distruttivo. Il percorso ci conduce attraverso il famoso viale dei baobab. Anche se i baobab sono maestosi e alti, non possiamo fare a meno di sentirci un po’ delusi perché i tronchi non sono così imponenti come quelli delle varietà africane che avevamo immaginato.

Il viaggio continua su questo sterrato per ben 200 km, un percorso impegnativo che ci occupa dalle 10 di mattina fino alle 17:30 del pomeriggio. Il paesaggio, però, non smette di stupirci, cambiando continuamente e presentandoci una grande varietà di baobab e altre meraviglie naturali. Attraversiamo due fiumi su grosse chiatte a motore, un’esperienza curiosa e unica che aggiunge un pizzico di avventura al nostro viaggio.

 

 

Per il pranzo, ci fermiamo circa a metà strada in un ristorante sorprendentemente buono, considerato che sembra essere l’unico della zona. Il locale è frequentato principalmente da turisti come noi, e ci godiamo un pasto delizioso che ci ricarica per il resto del tragitto.

Attraversiamo numerosi villaggi, tutti vivaci e pieni di bambini. Non appena vedono avvicinarsi una macchina, si lanciano di corsa verso di noi, urlando “bon-bon!” e rischiando di farsi travolgere. Per evitare incidenti, lanciamo caramelle dal finestrino, sperando che si allontanino dalla strada. Tuttavia, i bambini si mostrano estremamente prepotenti, strappandosi le caramelle di mano a vicenda in una frenesia che ci lascia perplessi e un po’ preoccupati. Durante il viaggio, riusciamo a scattare alcune foto affascinanti di donne locali con il volto coperto di polvere vegetale bianca, usata per proteggersi dal sole intenso.

Arriviamo finalmente all’albergo verso le 18:00, giusto in tempo per godere della splendida luce del tramonto. L’albergo, Orchidee de Mandahara, è immerso in una rigogliosa foresta, un vero e proprio rifugio naturale. La struttura principale è una grande hall aperta con un tetto di paglia, circondata da due piscine e una serie di bungalow, anch’essi con tetto vegetale. Siamo letteralmente coperti di terra rossa dopo il lungo viaggio su sterrato, e la doccia si rivela un momento di puro piacere e sollievo.

La cena, purtroppo, non è all’altezza delle aspettative, ma dopo una giornata così intensa, ci accontentiamo di riposare e prepararci per le prossime esplorazioni in questa terra straordinaria.

Piccolo Tsingy, e giro in canoa

2 agosto venerdì

La mattina inizia con una visita al piccolo Tsingy, una delle meraviglie naturali del Madagascar. Ci imbarchiamo per una navigazione di due ore sul fiume Manambolo, a bordo di una canoa doppia realizzata con due tronchi scavati e collegati da assi di legno. Nonostante la struttura rudimentale, l’imbarcazione è sorprendentemente stabile. Mentre scivoliamo sull’acqua, osserviamo uccelli che volano sopra di noi e incrociamo canoe locali, guidate da persone che si dirigono al mercato o che lavorano nelle risaie lungo le rive. Queste rive sono imponenti falesie calcaree, le cui pareti scoscese sembrano quasi toccare il cielo. All’interno delle falesie si aprono numerose grotte, due delle quali visitiamo, ammirando le stalattiti e le stalagmiti che decorano l’interno come sculture naturali. Su alcuni ripiani delle falesie, notiamo dei teschi appartenenti ai primi abitanti del Madagascar, un segno tangibile della storia antica di questa terra.

Al ritorno, entriamo nel parco del piccolo Tsingy e ci addentriamo in un affascinante labirinto di rocce, percorrendo sentieri tortuosi e arrampicandoci su ferrate per raggiungere i belvedere che offrono panorami mozzafiato su queste formazioni rocciose uniche. I Tsingy sono composti da strati sovrapposti di calcare batiale, erosi nel corso di millenni dalle piogge acide provocate da attività vulcanica. Tra i pinnacoli verticali e affilati, notiamo piante straordinarie come fichi strangolatori, euforbie spinose, ananas e altre specie uniche. La natura qui è tanto aspra quanto affascinante. Vediamo anche due falchi appollaiati in cima a un albero secco, un’immagine di solitudine e potenza. Nascoste tra le rocce ci sono anche diverse specie di orchidee, che fioriscono solo durante la stagione delle piogge, un periodo in cui il parco è chiuso perché completamente allagato.

 

 

Scopriamo che durante la stagione delle piogge, da dicembre a marzo, il livello del fiume Manambolo può salire di una decina di metri, rendendo questa zona completamente inaccessibile. Le piste che oggi, in condizioni asciutte, sono già difficili da percorrere, diventano impraticabili, isolando le popolazioni locali. Questo è anche il periodo della maturazione dei manghi, che dominano la vegetazione come gli alberi di alto fusto più comuni. Gli abitanti del luogo raccolgono liberamente questi frutti, insieme a giuggioli, anacardi, fichi e altre bacche. Anche all’interno del parco, la coltivazione del riso è consentita durante la stagione secca, poiché il riso rappresenta il 90% della dieta locale, integrata da pesce e ortaggi.

Durante il ritorno, attraversiamo un villaggio di capanne costruite con muri di terra e canne e tetti di microcanne. Ci colpisce la bellezza e la vivacità dei tanti bambini che ci salutano con sorrisi splendenti. Pranziamo al nostro albergo, dove ci concediamo un lungo e meritato pisolino, soprattutto dopo l’impegnativa arrampicata tra i Tsingy.

Nel tardo pomeriggio, verso le 17:30, decidiamo di fare un giro nel bosco vicino all’albergo alla ricerca di camaleonti. Appena cala il buio, i camaleonti scendono vicino al suolo e, non essendo spaventati dalla nostra presenza, diventano facili soggetti per le nostre fotografie. Utilizziamo un pannellino LED per illuminarli e riusciamo a scattare delle immagini magnifiche senza difficoltà. Rientriamo in albergo per la cena e, soddisfatti e stanchi, andiamo a dormire presto, pronti per un nuovo giorno di esplorazioni in questo angolo di mondo così remoto e affascinante.

Grande Tsingy e lemuri

3 agosto sabato

Sveglia all’alba e partenza per un’ora di strada che si rivela essere ancora più insidiosa delle precedenti. Questa volta, oltre a buche e sterrato, dobbiamo affrontare spuntoni di roccia che mettono a dura prova il veicolo. Mentre attraversiamo alcuni villaggi, la luce dorata dell’alba ci offre scene incantevoli: persone avvolte in coperte coloratissime per proteggersi dal freddo mattutino. Sarebbe meraviglioso fermarsi a fotografare questi momenti, ma decidiamo di proseguire senza indugi per evitare di affrontare il caldo torrido che arriverà più tardi sugli Tsingy.

Arrivati al parcheggio, la nostra guida locale consegna a Gian un’imbracatura: oggi lui salirà con la guida tra le rocce degli Tsingy, mentre io seguirò Kopela, la guida del nostro tour, nella foresta alla ricerca dei lemuri. Ci separiamo, ognuno diretto verso una nuova avventura. La foresta si rivela ricca di incontri straordinari: avvisto e fotografo numerosi lemuri, tra cui piccoli lemuri notturni grigi che dormono placidamente sugli alberi, magnifici sifaka – lemuri bianchi e pelosi con il muso nero – e altri lemuri marroni dal muso bianco e nero. Sono creature timide e riservate, che scappano al minimo rumore, ma con un po’ di pazienza e l’uso dello scatto silenzioso, riesco a catturare immagini meravigliose.

Ad un certo punto, avvistiamo una famiglia numerosa di lemuri marroni. Restiamo immobili, in assoluto silenzio, e lentamente iniziano a scendere dagli alberi. È un momento magico, ma purtroppo l’incanto si interrompe con l’arrivo di un gruppo di turisti rumorosi, che li spaventano e li fanno allontanare rapidamente.

Dopo un po’, vedo ricomparire Gian. Ha deciso di interrompere il circuito di quattro ore sugli Tsingy, avendo già visto le principali attrazioni. Mi racconta che la salita è stata estremamente dura e, a tratti, pericolosa, tanto che persino lui, ex istruttore di roccia, ha ritenuto più prudente fermarsi, soprattutto perché il caldo ormai era diventato insopportabile.

Riuniti, continuiamo a gironzolare nella foresta e siamo fortunati ad avvistare altri lemuri, concludendo la nostra esplorazione con un senso di soddisfazione. Torniamo in hotel verso l’una, dove ci godiamo una semplice ma deliziosa frittata. Dopo una meritata doccia, ci concediamo un riposino rigenerante.

Nel tardo pomeriggio, alle 17, ci facciamo accompagnare al villaggio vicino. Qui ci immergiamo nella vita locale, scattiamo qualche foto, acquistiamo acqua e caramelle da distribuire ai bambini del posto, che ci accolgono con i loro sorrisi contagiosi. Concludiamo così un’altra giornata intensa e piena di emozioni, pronti a riposare per le nuove avventure che ci aspettano.

Da Bekopaka verso Kirindi

4 agosto domenica

Partiamo presto da Bekopaka diretti verso Kirindi, con diverse tappe lungo il percorso per fotografare le donne e i bambini che incontriamo lungo la strada. Ogni scatto cattura momenti autentici di vita quotidiana, arricchendo il nostro viaggio di immagini uniche. Durante il tragitto, attraversiamo due fiumi su chiatte. La prima traversata non lontano da Bekopaka è rapida, mentre la seconda, a Belo su Tziribina, richiede un po’ più di tempo.

Pranziamo intorno alle due in un bel ristorante sotto un tetto di paglia, dove ci ristoriamo prima di proseguire il viaggio. Raggiungiamo infine il nostro bungalow nella foresta, un luogo immerso nella natura ma privo di corrente elettrica. Dopo una doccia rinfrescante e un pisolino, mi reco alla reception per chiedere informazioni sull’elettricità. Con mia sorpresa, mi guardano perplessi e mi chiedono: “Perché? Vi serve?”. Scopro così che accenderanno il generatore solo verso le 18:00 e lo spegneranno alle 22:00, per poi riaccenderlo alle 5:30 del mattino seguente.

Appena usciti dal bungalow, Gian decide di far volare il drone per riprendere la foresta dall’alto, ma appena lo solleva, ci avvertono che è proibito, così lo fa scendere immediatamente. Mentre esploriamo i dintorni, vediamo un fossa, l’unico mammifero carnivoro del Madagascar. Questo animale, che sembra un incrocio tra un cane allungato e un topo con una coda lunghissima e denti affilati, si aggira nei pressi della cucina del lodge, e non perdiamo l’occasione di fotografarlo da vicino.

Dalle 18:00 alle 20:00, facciamo un giro nella foresta, dove riusciamo a immortalare vari lemuri: dai piccolissimi che assomigliano a topolini, ai lemuri bianchi e soffici che sembrano cuscini di lana, fino a quelli grigi, grossi come un gatto di piccola taglia. Ogni incontro con questi animali ci regala nuove emozioni e immagini affascinanti.

Tuttavia, quando arriviamo al ristorante del parco per cena, rimaniamo delusi dalle condizioni igieniche e decido che non è il caso di fermarci a mangiare lì. Chiediamo quindi di essere riportati al ristorante dove abbiamo pranzato, che si trova a circa due chilometri di distanza. Ceniamo bene e rapidamente, soddisfatti della scelta, e poi torniamo al bungalow per riposare, con la giornata ricca di esperienze ancora viva nella nostra mente.

foresta di Kirindy e Allée des Baobabs

5 agosto lunedì

La giornata inizia con una visita alla foresta di Kirindy, dove abbiamo la fortuna di avvistare diversi lemuri, alcuni uccelli e perfino due specie di gufo. La foresta è viva di suoni e movimenti, un luogo incantato che offre numerose opportunità fotografiche.

Dopo la visita, partiamo e raggiungiamo Morondava, dove facciamo una pausa al Laguna Beach. Pranziamo con una frittata deliziosa, che ci ricarica dopo la mattinata di esplorazioni. Finalmente, riesco a lavarmi i capelli, cosa che non era possibile a Kirindy, dove l’acqua scarseggiava e la corrente elettrica era spesso assente.

Mentre Gian si riposa, decido di fare un giro in boutique e riesco a contrattare due sciarpe di seta selvatica a un buon prezzo. Poi mi dirigo in spiaggia per asciugare i capelli al sole e continuare a contrattare: acquisto un pareo, che mi servirà per proteggere la gola durante i trasferimenti in macchina, e quattro T-shirt da portare come regalini. Mi diverto un mondo a contrattare, ma a un certo punto mancano 5.000 ariary di resto (circa un euro).

Nel frattempo, le ragazze della spiaggia mi offrono di tutto: massaggi, treccine, pitture decorative sul viso. Una di loro riesce persino a dipingere il volto della mia vicina di ombrellone, anche se lei si rifiuta di farsi fotografare (perché suo marito non le aveva dato il permesso). Alla fine, accetto una proposta: Lala, da cui ho comprato il pareo, si farà dipingere il viso da Ari, che mi ha venduto le T-shirt, e io la fotograferò. In cambio, Lala terrà i 5.000 ariary mancanti. Dopo il servizio fotografico, però, mancava ancora una maglietta XXL che non avevano disponibile. Le ragazze fanno una serie di telefonate e riescono a far arrivare un amico che aveva la taglia giusta.

Mentre aspetto, fotografo i pescatori che preparano le reti e prendono il largo con le loro Boutre, le tradizionali piroghe a vela. Quando arriva il venditore con la maglietta XXL, si dimostra piuttosto esigente, pretendendo più del doppio rispetto alle altre magliette. Sebbene mi dicano che le taglie grandi costano di più, sono disposta a pagare solo un 25% in più, e alla fine accettano. Però, quando torno con i soldi, il venditore pretende di nuovo la cifra iniziale esorbitante. Esasperata, gli dico che avrei comprato la maglietta nella prossima città. A quel punto, Lala inizia a insultarlo, difendendo la mia posizione. Alla fine, il venditore cede, e riesco ad acquistare la maglietta al prezzo concordato.

Alle 15:50 ci prelevano per portarci all’Allée des Baobabs, una zona incantevole dove altissimi baobab millenari sembrano formare un viale naturale. Facciamo una deviazione per vedere i due “baobab innamorati”, due alberi vicini che si sono avvolti a spirale l’uno attorno all’altro, creando una scena suggestiva. Mentre aspettiamo il tramonto, Gian fa volare il drone per catturare delle immagini dall’alto. Nonostante l’insolita folla di turisti, il tramonto si rivela spettacolare, all’altezza della sua fama.

Dopo questa esperienza indimenticabile, ceniamo al Coral Restaurant. Nonostante l’aspetto esteriore del locale non fosse particolarmente invitante, il menù di pesce si rivela ricchissimo. Gusto il più delizioso, e grosso, gratin di granchio che abbia mai assaggiato. La serata è resa ancora più speciale da un chitarrista abilissimo che canta dolci canzoni in tutte le lingue conosciute, con una pronuncia e un’intonazione perfette, creando l’atmosfera perfetta per concludere una giornata straordinaria.

Da Morondava a Belo Sur Mer

6 agosto martedì

Partiamo da Morondava per il trasferimento a Belo Sur Mer, questa volta con un nuovo autista e una nuova macchina. La decisione di cambiare veicolo è stata presa da Kopela, che non si è fidato a proseguire con la vecchia macchina, dato che continuava a perdere dal radiatore. Con la consapevolezza che ci aspettano piste sabbiose che richiedono uno sforzo maggiore al motore, è stato prudente optare per un veicolo più affidabile. La nuova macchina, a differenza della precedente, è in condizioni migliori e, soprattutto, è di proprietà dell’autista, che guida con molta più cautela e a un ritmo più lento. Il precedente autista, giovane e dipendente della Sobeha, aveva una tendenza a correre, ma ora il viaggio procede in modo più rilassato.

Il paesaggio che attraversiamo è piatto, ma la vegetazione cambia radicalmente rispetto a quella vista finora. Lungo il percorso ci sono ancora alcuni baobab, ma la maggior parte del paesaggio è dominata da mangrovie e strane piante spinose che non avevamo mai visto prima. Avvicinandoci a Belo Sur Mer, attraversiamo vaste distese di sale con insidiosi ristagni d’acqua che aggiungono un tocco di surrealismo al panorama.

Arrivati al resort, siamo piacevolmente sorpresi dalla bellezza del posto. Le sistemazioni consistono in graziose casette di legno di mogano, ciascuna dotata di una bella veranda e un minuscolo cortile privato sul retro, dove si trova il bagno con la doccia. Tuttavia, non c’è acqua calda, una piccola delusione che si aggiunge a un’altra scoperta: nel letto c’è solo un lenzuolo sul materasso, ma il piumone non ha un copripiumone lavabile. Mi rendo conto che tutti gli ospiti devono dormire senza la protezione di un copripiumone fresco, il che mi preoccupa non poco. Decido quindi di utilizzare il sacco-lenzuolo che ho portato da casa per situazioni di emergenza come questa.

Il ristorante del resort, per fortuna, si rivela eccellente, compensando in parte le carenze delle sistemazioni. Per quanto riguarda il letto, chiedo un lenzuolo aggiuntivo alla reception, fingendo che la cameriera l’abbia dimenticato, e mi viene gentilmente fornito. Tuttavia, mi rendo conto che anche i cuscini non hanno una federa lavabile. Rimedio avvolgendoli nel mio asciugamano di microfibra, cercando di rendere la situazione il più igienica possibile.

Nel frattempo, noto che ho un occhio malconcio, probabilmente a causa della congiuntivite che potrebbe essere stata provocata dalla polvere accumulata in questi giorni di viaggio. Questo disagio non toglie comunque la bellezza del posto e la soddisfazione di essere arrivati in una nuova tappa di questo affascinante viaggio in Madagascar.

Belo Sur Mer e incontro con le Suore

7 agosto mercoledì

Durante la notte, la congiuntivite si è estesa anche all’altro occhio, rendendo la situazione ancora più scomoda. La guida ci informa che l’unica possibilità di trovare una farmacia sarebbe tornare indietro a Morondava. In caso contrario, non incontreremo una città con una farmacia per altri sei giorni. Chiedo alla reception se per caso abbiano un collirio antibiotico, ma naturalmente non ce l’hanno. Tuttavia, ci informano che due capanne più in là c’è un convento di suore che gestisce anche un dispensario medico. Sorprendentemente, è vero!

Ci dirigiamo subito al convento. Sono le 8 del mattino, ma le suore stanno ancora riposando. Nonostante ciò, la suora medico, gentilissima, mi accoglie e mi visita in un ospedale pulitissimo e essenziale, costruito in muratura. Mi prescrive una pomata antibiotica e una serie di capsule di antibiotico da prendere due volte al giorno. Sebbene io sia sempre restia a prendere antibiotici, la suora insiste sull’importanza del trattamento. Quando chiediamo quanto dobbiamo pagare, ci chiede una cifra ridicola, circa 2€ per tutto, medicine comprese. Decidiamo di lasciare una piccola donazione in aggiunta alla somma richiesta, come segno di gratitudine.

Dopo aver medicato gli occhi, ci facciamo portare a una salina non troppo lontana, dove osserviamo alcuni ragazzi che spalano via il fango da una serie di canali artificiali, mentre altri caricano pesanti sacchi di sale su un camion. È un lavoro duro, ma affascinante da osservare.

Ritorniamo al lodge per pranzare, e successivamente, approfittando della bassa marea, attraversiamo la baia a piedi e raggiungiamo un insediamento di pescatori nomadi. Non c’è nulla di più povero, ma nonostante la semplicità delle abitazioni, gli abitanti sembrano puliti e curati. Oltre la lingua di terra dove si trova il villaggio, vediamo un paio di chilometri di fondo sabbioso, lasciato scoperto dalla marea, che si estende fino alla barriera corallina. Il paesaggio è straordinario, e per essere l’una del pomeriggio, il caldo non è eccessivo grazie alla piacevole brezza che soffia.

 

 

Tornati in camera, ci godiamo la tranquillità della laguna, con la sua pace assoluta. Le barche sono tutte in mare, tranne alcune boutre in riparazione, e osserviamo qualcuno che le dipinge lentamente, immerso nella quiete del pomeriggio.

Verso le 16:00, usciamo per un’escursione su una piroga a remi e a vela, dirigendoci verso le mangrovie. Il percorso è rilassante e l’imbarcazione, estremamente stabile, ci permette di godere appieno della bellezza circostante. Scopriamo che ci sono cinque varietà di mangrovia, alcune delle quali sono definite maschio e altre femmina, anche se la logica di questa distinzione ci sfugge.

La piroga, costruita artigianalmente, è un’opera d’ingegno locale. Il fondo dello scafo, un semilavorato acquistato in un villaggio specializzato, viene poi completato con le sovrastrutture, il bilanciere, l’albero e una vela quadrata, spesso rattoppata con vecchi pezzi di stoffa, come nel nostro caso. Nonostante fossimo in cinque a bordo, il pescaggio era ridottissimo, e bastava un po’ di vento per farci procedere a una velocità sorprendente. Ci spiegano che una piroga di circa 7 metri, come quella su cui ci troviamo, costa intorno ai 1000€, mentre una boutre per il trasporto merci, molto più grande, ha un valore decisamente superiore, come la differenza tra un’automobile e un camion.

Durante l’escursione, notiamo che la fauna è piuttosto scarsa; vediamo solo due aironi bianchi e uno strano pesce che, con grande sorpresa, cammina sull’acqua utilizzando la coda per spostarsi a una velocità incredibile per un centinaio di metri. Restiamo sbalorditi davanti a questa scena inaspettata, che conclude in modo memorabile una giornata già ricca di esperienze uniche.

da Belo Sur Mer fino a Morombe

8 agosto giovedì

La giornata inizia presto con la partenza da Belo Sur Mer per affrontare un lungo trasferimento di oltre 10 ore fino a Morombe. Il paesaggio cambia continuamente, ma i baobab rimangono una presenza costante, ognuno con la propria personalità unica, quasi come se fossero antichi guardiani di questa terra.

Lungo la pista, ci troviamo a dover affrontare diversi blocchi improvvisati. Ogni tanto qualcuno ci ferma con una sbarra e dobbiamo contrattare una mancia o offrire un regalo per poter proseguire. A prima vista sembra un ricatto, ma in realtà pretendono di vendere un servizio. Il primo blocco è un uomo che ha steso una striscia di erba secca sopra il letto sabbioso di un fiume, facilitando il passaggio. Il secondo blocco è costituito da un uomo che passeggia in un guado, segnalando la profondità dell’acqua agli automobilisti. Il terzo, invece, è stato meno premuroso: non ha segnalato né riempito una buca profondissima, e una ruota della nostra macchina ci è finita dentro, rischiando di rompere il differenziale. Il nostro autista era infuriato e non ha esitato a esprimere il suo disappunto.

Più avanti, la polizia ci ferma in un punto dove la strada si biforca: da un lato c’è un traghetto per attraversare il fiume, dall’altro c’è il cantiere cinese di costruzione di un ponte-diga, ufficialmente chiuso al transito. La polizia propone alla nostra guida e all’autista di attraversare il ponte in costruzione, ovviamente dietro una cospicua mancia. Tuttavia, il traghettatore, al quale l’agenzia di viaggi aveva prenotato il nostro passaggio, si oppone con forza, temendo di perdere il suo compenso. Per placarlo, la guida decide di dargli una delle nostre magliette, destinate inizialmente ai bambini poveri, senza nemmeno chiederci il permesso. Alla fine, la guida paga la polizia, assicurandoci che nessuno ci fermerà più per chiedere soldi, e proseguiamo verso la diga. Gian protesta, chiedendo perché la guida non abbia usato i soldi destinati al traghetto, ma la conversazione viene rapidamente chiusa.

Appena un chilometro più avanti, veniamo fermati da alcuni operai che pretendono altro denaro per lasciarci passare. La guida rifiuta, e si inizia a litigare. Restiamo fermi per circa un quarto d’ora, finché la guida decide di cedere, offrendo loro una manciata delle nostre caramelle, acquistate per i bambini, e finalmente ci lasciano passare. Dopo altri due chilometri, la scena si ripete, ma questa volta i guardiani sono irremovibili e la guida, dopo venti minuti di trattative, è costretta a pagarli.

 

 

Attraversiamo il ponte-diga, fortunatamente senza apparenti pericoli, visto che il fiume è in secca, e iniziamo a salire su una collina spoglia, ma popolata da enormi e numerosi baobab. Chiediamo di fermarci per far volare il drone, ma ci ignorano e si fermano solo in cima alla collina. Ci avevano promesso una sosta per un picnic con i nostri panini, ma proseguono senza fermarsi. Alla fine, visto che è già pomeriggio, decidiamo di mangiare i panini in auto mentre continuiamo il viaggio. Dopo un po’, si fermano in un villaggio per pranzare in un “ristorante” locale, lasciando noi a fare la guardia alla macchina e ai bagagli. Gian ne approfitta per far volare il drone, ma non mi aspettavo di dover essere io a sorvegliare il veicolo.

Dopo altre due ore di viaggio, finalmente arriviamo a Morombe, dove ci sistemiamo da Che’ Laurette, una struttura molto basica che si definisce “resort” in modo piuttosto pomposo. La stanza manca dell’asse del WC, ma per lo meno ci sono lenzuola, che sembrano pulite. Usciamo per esplorare la spiaggia e incontriamo subito un lemure nella “hall” del resort, una semplice tettoia davanti all’ufficio che funge da reception. Il lemure è adorabile, e ci accompagna un ragazzo del posto, visto che ci saremmo sicuramente persi senza di lui.

Camminando, scopriamo che gli abitanti del villaggio usano il sentiero che percorriamo come latrina a cielo aperto. Arriviamo alla spiaggia, una lunga distesa di sabbia piena di piroghe colorate. Una di queste, appena rientrata dalla pesca, scarica sacchetti pieni di cetrioli di mare e secchi di polpi. Non avevo mai visto i cetrioli di mare dal vivo, e l’aspetto è piuttosto schifoso, anche se dicono siano una delle migliori delizie gastronomiche. Il tramonto è splendido, e ne approfittiamo per fotografare le vele delle barche e le persone sulla spiaggia. Purtroppo, il drone non può volare perché c’è un aeroporto nelle vicinanze.

Torniamo in camera per una doccia e ceniamo con un pasto passabile. Alcuni giorni dopo, scopriamo da altri turisti che anche il loro autista era caduto nella trappola dei poliziotti, passando sulla diga dietro pagamento. Anche la loro guida aveva usato regali dei turisti per corrompere le autorità locali, pur di evitare di pagare di tasca propria.

da Morombe a Salary Bay

9 agosto venerdì

Partiamo da Morombe alle 7 del mattino, pronti per un’altra giornata di avventure. Il percorso ci porta su piste di sabbia che percorriamo fino alle 13 circa, attraversando una varietà di paesaggi con vegetazione sempre diversa. Facciamo una breve sosta in un villaggio per fotografare la gente del posto con la luce dorata delle prime ore, che illumina i loro volti e le scene di vita quotidiana. Successivamente, ci fermiamo nella foresta di piccoli baobab. Anche se vengono chiamati “piccoli”, non lo sono affatto: il diametro dei tronchi supera abbondantemente i 2 metri, ma rispetto ai loro “fratelli maggiori” che possono superare i 30 metri d’altezza, questi si fermano a 4 o 5 metri.

Proseguiamo poi su una pista che attraversa una zona di mangrovie. Questa area, con l’alta marea, è spesso allagata, ma fortunatamente ora è percorribile, sebbene rimangano alcuni laghetti residui. Una delle cose che ci colpisce è il metodo utilizzato dal nostro autista per inserire e disinserire le 4 ruote motrici. Oltre a usare il comando vicino al cambio, è costretto a scendere dal veicolo con una pinza, armeggiare davanti al mezzo, percorrere alcuni metri in retromarcia e poi ripartire. Ci spiegano che, a causa delle condizioni gravose in cui i veicoli devono operare, i malgasci li rialzano subito dopo l’importazione, ma il meccanismo di inserimento del cardano per le due ruote aggiuntive non viene completamente modificato. Di conseguenza, il comando interno non funziona più correttamente. Nonostante queste difficoltà, l’autista cerca di guidare il più possibile in modalità 2×2 per risparmiare carburante. Tuttavia, ogni volta che il veicolo si blocca, deve ripetere l’intera operazione per inserire il 4×4, il che avviene frequentemente, con conseguenti continue fermate, discese, armeggiamenti e ripartenze. Quando chiediamo alla guida il motivo di tanta insistenza, ci spiega che il 2×2 consuma meno, cosa che sapevamo già, ma ci sembra un’esagerazione! Parlando con altri viaggiatori, scopriamo che questo è un comportamento comune tra i drivers locali.

 

 

Finalmente, dopo ore di viaggio, arriviamo a Salary Bay, dove il mare all’interno della barriera corallina è di un turchese mozzafiato e la costa è orlata da dune bianche come la neve. Su una di queste dune si trova il nostro resort, un’oasi di tranquillità e bellezza. La nostra camera è una casetta in muratura, molto spaziosa, su due livelli, con un tetto di legno a vista e un soppalco che ospita un’altra camera da letto. Anche il ristorante, situato sotto un tetto di palma, è lussuoso e offre una vista indimenticabile sull’oceano.

Pranziamo divinamente con un trancio di carangio alla griglia, accompagnato da un contorno di riso pilaf con funghi. Dopo pranzo, ci concediamo un pisolino ristoratore in camera, per poi scendere in spiaggia e mettere i piedi nell’acqua cristallina e frescolina. Non potevamo esimerci, visto il colore turchese del mare e la sabbia candida che invitano a un breve tuffo. Scambiamo due parole con due ragazzi milanesi che incontriamo sulla spiaggia, poi torniamo in camera per una doccia rinfrescante.

La cena viene servita presto, e ci sediamo con la coppia conosciuta in precedenza. La cena è ottima e la conversazione è altrettanto piacevole. La ragazza è una professoressa delle scuole medie, con una notevole cultura storica. Ci racconta delle difficoltà che affronta nel lavorare con due classi di periferia, composte al 100% da alunni marocchini o egiziani. Le famiglie la minacciano e la insultano, dandole della prostituta perché non indossa il velo e perché lavora fuori casa, nonostante sia una donna. La conversazione si estende anche alle esperienze di viaggio, e tra un racconto e l’altro, ci rendiamo conto che si è fatto tardi (sono addirittura le 21!). Così, concludiamo la serata soddisfatti di una giornata ricca di scoperte, incontri e riflessioni.

Salary Bay

10 agosto sabato

Gian si sveglia presto, alle 5:30, e decide di andare a fotografare l’alba sulla laguna, catturando la bellezza del sole nascente riflesso sull’acqua. Io, ancora un po’ assonnata, mi alzo alle 6 e lo raggiungo per la colazione. Il pasto è delizioso, con brioche fresche e fragranti, che ci danno l’energia giusta per iniziare la giornata.

Dopo colazione, ci avventuriamo a piedi verso il villaggio vicino. Come al solito, siamo seguiti da un gruppo di bambini che corrono dietro di noi gridando “cadò” e “argent”, una variazione rispetto al solito “bonbon” che ci sentiamo spesso chiedere. Arrivati alla spiaggia del villaggio, assistiamo al rientro delle barche dei pescatori e osserviamo lo svuotamento delle reti. Anche se la pesca non sembra abbondante, la varietà delle specie è straordinaria: su 30 pesci, ben 21 sono di specie diverse. Uno dei pescatori ci mostra anche un piccolo squalo di fondo catturato con la fiocina, una scena che cattura la nostra attenzione.

Tornati al resort, vediamo atterrare un piccolo velivolo che trasporta alcuni turisti e un paio di parenti dei proprietari del resort. Pranziamo divinamente, e trascorriamo il pomeriggio in assoluto relax, godendoci la tranquillità del luogo.

Verso l’ora di cena, la guida e l’autista si presentano con una notizia che rischia di complicare i nostri piani: “C’è un problemino! Anche questa macchina è guasta, si è rotto l’alternatore. Qui non c’è un pezzo di ricambio, quindi il driver/meccanico dovrà andare a Toliara a prenderlo, un viaggio di 4 ore.” La soluzione che ci propongono è la seguente: domani mattina, alle 8:30, un altro autista verrà a prenderci con un Toyota Hilux. Partirà questa notte alle 4 da Toliara per portarci, insieme alla guida e all’autista, a Ifaty come da programma. Poi, invece di accompagnarci alla foresta spinosa, partirà direttamente per Toliara per riparare l’auto.

Per quanto riguarda la visita alla foresta spinosa, ci propongono di raggiungerla in un carro trainato da zebù, un’esperienza che, dopo aver fotografato questi animali per giorni, ci intriga molto. In alternativa, ci dicono che la foresta è abbastanza vicina e possiamo andarci a piedi. Naturalmente, l’idea di provare il carretto con gli zebù ci entusiasma, e accettiamo con entusiasmo.

da Salary Bay a Toliara

11 agosto domenica

Ci alziamo presto per fotografare l’alba nella piccola baia accanto al resort, godendoci gli ultimi momenti in questo luogo splendido dove abbiamo mangiato divinamente. Dopo la colazione, alle 8:30, arriva il nuovo autista su un vecchio Toyota Hilux, che sembra avere almeno 30 anni. È un uomo imponente, e io mi siedo davanti accanto a lui, mentre Gian, la guida e il vecchio autista (che porta con sé l’alternatore rotto) si sistemano dietro.

Fin dall’inizio, emergono i segni del tempo sull’auto: afferro una delle maniglie per salire, ma è rotta, così provo con un’altra, anch’essa rotta, come anche il maniglione sul cruscotto. Mi siedo e cerco di allacciare la cintura di sicurezza, ma l’autista mi avverte che “non funziona”. Quando provo ad alzare un po’ il finestrino, scopro che si può fare solo dall’esterno del veicolo, e l’autista scende per aiutarmi. Non è certo l’inizio più promettente!

Partiamo a tutta velocità e, quando la sabbia si fa più alta, l’autista accelera ancora di più, facendoci temere che il veicolo possa ribaltarsi. Il paesaggio è però spettacolare: viaggiamo lungo la costa, attraversando gigantesche dune di sabbia bianca, coperte di vegetazione rigogliosa come tamarindi, acacie spinose, piante grasse, euforbie, fichi d’India e altre specie botaniche, probabilmente endemiche, che non abbiamo mai visto prima. Dopo un po’, l’autista assume un’andatura più accettabile, e il viaggio diventa più confortevole.

Attraversiamo diversi villaggi di capanne, dove, come al solito, centinaia di bambini ci salutano con entusiasmo. L’ultimo tratto del viaggio è sorprendentemente su strada asfaltata, e arriviamo finalmente a destinazione, al Bamboo Club Resort di Ifaty. Scarichiamo i bagagli e salutiamo i due autisti che si dirigono verso Toliara.

 

 

Il bungalow del resort è carino e pulito, nulla di paragonabile al lusso del resort precedente, ma comunque accogliente e con lenzuola fresche. Decidiamo di fare un giro in spiaggia, camminando fino al centro del paese. Il paese è essenzialmente una fila di resort e ristoranti allineati lungo la spiaggia, e appare evidente che sia una località turistica, dato il numero di visitatori, soprattutto malgasci. I venditori ambulanti sono molto insistenti, e alla fine acquisto un pestello di legno, attratta dalla sua bella linea.

Pranziamo al nostro resort e poi ci rilassiamo su due lettini, sistemati su una terrazza di legno tra la piscina e la spiaggia. Prenotiamo un’escursione per il giorno successivo per vedere le balene, un’esperienza che non vediamo l’ora di vivere.

Alle 15, la guida arriva con il nostro carretto trainato da zebù per portarci a visitare la foresta spinosa. Salire sul carretto è un’impresa, e, nonostante i cuscini sistemati per il comfort, il viaggio non è particolarmente comodo. Tuttavia, il carretto va sorprendentemente veloce, e ci divertiamo molto.

Arrivati al parco della foresta spinosa, che appare più come una rada vegetazione secca piuttosto che una foresta vera e propria, osserviamo diversi piccoli baobab e molte altre piante, tra cui una che emana un intenso profumo di limone. La guida ci mostra anche alcuni uccelli, una bella tartaruga di terra che possiamo toccare, un riccio minuscolo che, se gli si gratta la schiena, tira fuori il muso per guardarci. Vediamo anche uno scorpione, una lucertola, un grillo, un ragno velenoso e un serpentello innocuo.

Rientriamo al resort ripercorrendo la spiaggia, che nel tardo pomeriggio è ancora più frequentata rispetto alla mattina, anche da persone particolari e interessanti. Ci godiamo un meraviglioso tramonto, poi una doccia calda ci prepara per la cena da Chez Michel. Gustiamo un pasto delizioso: io opto per due aragoste alla griglia per soli 11€, mentre Gian preferisce i calamari all’aglio, anch’essi ottimi. Dopo una giornata così ricca, andiamo a dormire alle 20, anche se sembra già mezzanotte, esausti ma felici delle esperienze vissute.

Ifaty e navigazione verso le balene

12 agosto lunedì

La giornata inizia presto con una colazione alle 7. Alle 7:30, armati dei nostri teleobiettivi, ci troviamo al diving center per l’escursione di avvistamento delle balene. Mentre aspettiamo la partenza, chiacchieriamo a lungo con il proprietario dell’attività, un francese che vive qui da 25 anni. Ci racconta come il Madagascar stia attraversando un boom demografico: “Un tempo, in questa baia, pescavano solo un paio di barche. Oggi sono decine e decine, e usano reti a strascico. Non c’è più pesce. Altri animali non ce ne sono più; la popolazione ha consumato tutto ciò che esisteva. Nei mercati locali vendono carne di lemure, nonostante sia proibita, ed è molto più economica rispetto a quella di zebù.”

Quando vedo la barca, mi prende un colpo: è uno scafo in vetroresina di circa 4 metri, con un solo motore fuoribordo. Non mi sembra affatto adatta per uscire in pieno oceano, anche se Kopela precisa che siamo nel canale del Mozambico, che nel punto più stretto è largo “solo” 60 miglia nautiche. A bordo ci siamo io, Gian, Kopela, il capitano della barca, una ragazza dell’associazione che protegge le balene, e una famiglia italiana con un bambino di 7 anni. Un’altra barca gemella salpa con sei persone a bordo.

Ci forniscono dei giubbotti di salvataggio, una rarità in Madagascar, probabilmente perché il proprietario è francese. Nonostante ciò, io mi sono preparata con cinque braccioli gonfiati, infilati in una cintura di nylon dei pantaloni sportivi, e li ho agganciati allo zainetto impermeabile della mia macchina fotografica, sperando di poter salvare almeno l’attrezzatura in caso di emergenza.

Partiamo tranquilli, percorrendo i 5 km all’interno della barriera corallina. Man mano che ci avviciniamo, vediamo gigantesche onde rompersi sulla barriera. Nei giorni scorsi ho visto che affittavano tavole da surf sulla spiaggia, e ora capisco il perché. La fila bianca delle onde ha un’interruzione dove la barriera è più bassa, e dovremmo passare da lì. Tuttavia, improvvisamente, onde enormi iniziano a formarsi anche in quel tratto. Le due barche si avvicinano e i marinai discutono animatamente. Il capitano dell’altra barca vuole tornare indietro, sostenendo che le onde oggi sono troppo alte e non se la sente di attraversare la barriera con dei passeggeri. Il nostro capitano esita, ma poi decide di proseguire e si lancia verso le onde. Io, che già non so nuotare e ho un terrore irrazionale dell’acqua, sono paralizzata dalla paura. Dico a Kopela di spiegare al capitano che, anche se fosse tornato indietro, avremmo comunque pagato il biglietto, ma non serve a nulla.

Superata la barriera, l’oceano si rivela tutt’altro che calmo: le onde sono lunghe un centinaio di metri, e ci troviamo a scendere in fondo a una valle d’acqua per poi arrancare in cima a queste montagne liquide. Ci allontaniamo sempre di più dalla costa, fino a 14 km, ma non c’è traccia di balene. Il pensiero inquietante che, se in una settimana abbiamo dovuto cambiare quattro auto per guasti gravi, i motori in Madagascar non siano poi così affidabili, mi perseguita. Cosa succederebbe se si fermasse il motore della barca, così lontani dalla costa?

 

 

Finalmente, dopo qualche cambiamento di rotta, avvistiamo due balene: una mamma e il suo piccolo. In questo periodo, le balene si allontanano dalle acque gelide del Polo Sud per allevare i loro piccoli in acque più calde. Ad un certo punto, la madre salta fuori dall’acqua in tutta la sua imponenza e si lascia ricadere in un mare di spruzzi. Io non riesco a inquadrarla con il mio 400mm, ma per fortuna Gian sì. Il capitano ci dice allora: “Avete visto le balene, ma restare in mare oltre sarebbe pericoloso, perché verso le 11 si alza il vento. Rientriamo subito oltre la barriera.”

Il ritorno sembra eterno, anche se dura poco più di un’ora e mezza. Prima di affrontare la barriera, spegniamo il motore per riempire il serbatoio da una tanica. Il capitano fa spostare Kopela dietro con lui per alleggerire la prua. L’attraversamento, per fortuna, si rivela meno complicato del previsto: cavalchiamo un’onda gigantesca che ci deposita dolcemente al di là della barriera, mentre le onde su entrambi i lati si infrangono in un mare di schiuma. A quel punto, i 5 km rimanenti fino alla costa scorrono in tutto relax, anche se dubito che salirò di nuovo su una barca tanto presto.

Per rilassarci, decidiamo di andare subito a mangiare. Dopo una doccia calda e un pisolino rigenerante, ci prepariamo per un incontro a Toliara con il padre di un amico di Gian, che ci ha aiutato a organizzare il viaggio. Tuttavia, non sappiamo ancora a che ora arriverà l’auto che ci dovrà portare, sperando che questa volta non ci siano sorprese.

Nel pomeriggio, attendendo che passi il caldo delle ore centrali, ci rilassiamo a bordo piscina e poi facciamo una lunga passeggiata sulla spiaggia. Siamo seguiti da tre bambine scatenate e bellissime, che si divertono a farsi fotografare e, dopo aver visto le foto sul display, ridono come matte. Poi, con una sorprendente chiarezza, ci chiedono 50.000 ariary (circa 1€), specificando che è per tutte e tre.

Concludiamo la giornata in bellezza, con un tramonto fantastico e una cena da Che’z Daniel. Veniamo serviti dalla sua gentilissima figlia, e Daniel stesso ci racconta che tutto il pesce servito nel ristorante è pescato da lui ogni mattina, appena fuori dalla barriera corallina. Mi concedo due aragoste alla griglia, deliziose e a un prezzo incredibilmente conveniente, mentre Gian opta per calamari all’aglio, altrettanto gustosi. Dopo una giornata così intensa, andiamo a dormire alle 8, esausti ma soddisfatti, anche se sembra già mezzanotte.

Isalo

13 agosto martedì

Durante la colazione, Copela ci sorprende con l’annuncio che l’alternatore riparato a Tulear, riportato a Salary Bay e montato sulla nostra macchina, non funziona ancora. Per fortuna, ci ha trovato un nuovo mezzo: un Terracan, più recente degli altri, con un autista che guida con molta attenzione. Il veicolo sembra in buone condizioni, e ci prepariamo a lasciare Ifaty con una certa fiducia.

La nostra prima tappa è Toliara, dove l’autista deve ritirare un documento. Ci fermiamo in un’area dove si raccolgono i Taxi Brousse, i mezzi di trasporto pubblico che portano i passeggeri a sud, verso Port Dauphin. Lì c’è un’enorme confusione di persone, merci e centinaia di ciclo-pus. Fotografare questi bus stracarichi e la folla che li circonda è stato divertente, e non abbiamo avuto alcun problema. Durante una sosta in una stazione di servizio, compriamo qualche snack da consumare a pranzo e io trovo dei sacchetti di polvere del frutto del baobab, che acquisto come ottimo souvenir.

Il paesaggio che attraversiamo è quasi tutto desertico. Un tempo qui c’era una foresta, ma è stata distrutta per vendere il legno e liberare il terreno per l’agricoltura. Tuttavia, una volta rimossa la foresta, il terreno è diventato arido, e senza la copertura degli alberi, la pioggia ha dilavato quel poco di humus che c’era. Proseguiamo verso il Parco Nazionale di Zombitse, dove facciamo una passeggiata di un’ora e mezza. Durante l’escursione, vediamo alcuni uccellini, un gufetto addormentato, due bellissimi camaleonti e una famiglia di sifaka candidi, endemici del parco. È stato un incontro davvero speciale.

 

Riprendiamo il viaggio e ci dirigiamo verso Ilakaka, dove si trova la più grande miniera di zaffiri del Madagascar. Attraversando un ponte, scorgiamo un formicaio umano lungo il fiume: persone che lavano ghiaietto per estrarre frammenti di zaffiro. Kopela ci spiega che il ghiaietto proviene da una miniera di proprietà di un indiano, e che l’intero commercio di zaffiri è in mano a commercianti indiani. Lungo la via principale ci sono solo negozi di gemme, e ci portano a visitarne uno. Qui acquisto una bellissima fluorite verde petrolio su matrice di calco-fluorite bianca, un pezzo che mi affascina moltissimo.

Arrivati a Isalo, il paesaggio roccioso ci ricorda alcune zone del sud-ovest americano. Purtroppo, però, il parco è stato incendiato dolosamente pochi giorni fa, il che rende la vista meno spettacolare del previsto. Il nostro resort non è male, e dopo aver sistemato le valigie, decidiamo di fare un giro nel villaggio vicino. Il villaggio è costituito da poche case e una fila di bancarelle scalcinati. C’è anche un bar, dipinto di un improbabile rosso acceso, frequentato da persone piuttosto particolari. Notiamo subito che gli abitanti del luogo non hanno la bellezza tipica dei malgasci che abbiamo incontrato finora.

Una delle scene più surreali è un uomo che porta al guinzaglio un enorme maiale rosa, una vista davvero bizzarra. Per cena, scegliamo una pizzeria gestita da un expat italiano, che ci racconta la sua storia. È interessante scoprire cosa può spingere un italiano di Vercelli a trasferirsi in un luogo così remoto e dimenticato. La sua vita è piena di aneddoti che ci fanno riflettere su come il Madagascar possa attirare persone da ogni parte del mondo, anche nei luoghi più nascosti.

Parco di Isalo

14 agosto mercoledì

La giornata inizia presto con la visita al Parco di Isalo. Alle 7 partiamo dal resort accompagnati dalla guida locale e da Kopela. L’escursione inizia con una salita che ci porta sull’altopiano centrale, un paesaggio spettacolare circondato da rocce arenarie di varie durezze e colori, mescolate a residui ferrosi. L’erosione ha scolpito queste rocce in forme straordinarie, creando scanalature e strutture di ogni tipo.

Mentre camminiamo, la guida locale ci mostra numerose specie di piante endemiche, tra cui le curiose “zampe di pachiderma”. Queste piante, alte circa 50 centimetri, hanno un tronco tozzo e quasi sferico, dal quale spuntano un paio di rametti sottili con fiorellini gialli in cima. Durante il percorso, la guida individua un insetto stecco nascosto in un cespuglio. Anche quando me lo ha indicato, ho fatto fatica a vederlo, tanto era perfettamente mimetizzato con i rami. Solo quando lo ha toccato leggermente con una foglia, costringendolo a muoversi, sono riuscita a distinguerlo.

Dopo aver esplorato l’altopiano, scendiamo in una stretta valle fino a un laghetto dalle acque cristalline e turchesi, alimentato da una piacevole cascatella. Siamo i primi ad arrivare, e poco dopo ci raggiungono due italiani che si immergono nell’acqua, nonostante sia freddissima. La camminata sull’altopiano è stata lunga ma piacevole, mentre la discesa in un canyon verso l’altro lato del parco si rivela estremamente faticosa. Arrivo al fondo completamente esausta.

Alla fine del sentiero, in un angolo di foresta, ci aspetta il pranzo. Hanno preparato un’area su una grande roccia piatta, che funge da tavolo naturale. Il pranzo è abbondante: dopo aver rinunciato all’antipasto, lo giriamo alla guida e all’autista, e ci concentriamo su un piatto di riso con verdure e uno spiedone di carne di zebù, gustosissima e succulenta, anche se un po’ troppo pepata. Quando arrivano le banane e l’ananas, l’interesse dei lemuri aumenta: ci troviamo improvvisamente circondati da un gruppo di lemuri dalla coda ad anelli, che sperano di riuscire a rubare un po’ di cibo. La guida ci avvisa che è assolutamente vietato nutrire i lemuri o permettere loro di cibarsi con il nostro cibo, ma che non dobbiamo neppure allontanarli con cattive maniere. Ne approfittiamo per scattare un sacco di foto ai loro buffi musetti dagli occhi arancioni.

 

 

Dopo una lunga pausa per riposarci, ci mettiamo alla ricerca dei lemuri sifaka bianchi. Con una camminata di una ventina di minuti, questa volta meno impegnativa, raggiungiamo un parcheggio dove ci attende la nostra auto. Tornati al resort, ci concediamo una doccia rinfrescante e un po’ di riposo.

Verso le 16:30, usciamo di nuovo per assistere al tramonto. Ci guidano lungo un percorso di una ventina di minuti fino a una serie di rocce erose che formano un arco naturale. L’idea è di fotografare il tramonto del sole attraverso l’arco, ma la sorpresa è amara: più di un centinaio di altri turisti ha avuto la stessa idea, e lo spazio da cui scattare è molto ristretto. Inoltre, molti si mettono in posa proprio nell’arco, rendendo difficile ottenere lo scatto desiderato.

Dopo questa esperienza, torniamo in albergo per una cena piuttosto modesta e andiamo a letto presto, stanchi ma soddisfatti della giornata intensa.

da Isalo al Parco di Ranomafana

15 agosto giovedì

Partiamo alle 7 del mattino, avvolti dalla nebbia, diretti verso il Parco di Ranomafana. La giornata prevede un lungo viaggio in auto, circa 10 ore. Il paesaggio iniziale è una vasta prateria vuota che si estende per chilometri, dove i Bara pascolano i loro zebù. La tradizione dei Bara di rubare gli zebù è ben nota, ma recentemente la situazione è degenerata. Non si limitano più a rubare un paio di capi di bestiame, ma arrivano a uccidere i proprietari, razziando e incendiando interi villaggi per appropriarsi di intere mandrie. Le autorità, riconoscendo il problema, hanno istituito un centro di studi sull’agricoltura per insegnare ai Bara a coltivare la terra, nella speranza di stabilizzarli e ridurre la violenza.

Proseguendo, il paesaggio cambia gradualmente, diventando montuoso mentre entriamo nel territorio dei Betzileo. Questa popolazione costruisce case di mattoni a due piani e coltiva intensamente la terra: riso, tabacco, cavoli, tapioca, e agave da sisal sono tra le principali coltivazioni. In prossimità della Riserva di Anja, ci troviamo di fronte a giganteschi massi di granito, ai piedi dei quali si estende un bosco non troppo fitto. All’interno della riserva, riusciamo a osservare alcuni camaleonti e lemuri, un incontro che ci regala un momento di tranquillità in mezzo alla natura.

 

 

Dopo la visita, ci fermiamo a pranzare in un ristorante gestito dagli abitanti del villaggio. Il cibo è sorprendentemente buono, tanto che Gian osa persino ordinare degli spaghetti alla bolognese, che si rivelano superbi. Durante il tragitto, ci fermiamo anche in un centro di produzione della seta selvatica, dove facciamo qualche acquisto di prodotti locali.

Continuando il viaggio, attraversiamo le città di Ambositra e Fianarantsoa, dove ci imbattiamo in un gigantesco ingorgo stradale per l’attraversamento di un ponte. L’ingorgo ci offre l’opportunità di scendere dalla macchina e fotografare le scene di vita quotidiana, che si rivelano molto interessanti.

Da lì, ci addentriamo in una strada montuosa e tortuosa, con qualche buca qua e là, ma tutto sommato percorribile, che ci conduce finalmente nella foresta del Parco Nazionale di Ranomafana. Purtroppo, notiamo che una striscia di foresta è in fase di devastazione: il governo ha concesso a una tribù, che un tempo abitava la foresta prima della creazione del parco nazionale, il permesso di distruggere una parte della foresta come compensazione per il loro trasferimento fuori dal parco. Questo contrasto tra la bellezza intatta del parco e la distruzione circostante è piuttosto deprimente.

Arriviamo al nostro resort, che si rivela essere piuttosto carino. Scopriamo che nelle vicinanze c’è un centro studi americano, Naturabio, dedicato allo studio della biologia della foresta. La giornata è stata lunga e faticosa, quindi ceniamo rapidamente in hotel e ci ritiriamo presto per riposare, pronti per le avventure che il Parco di Ranomafana ci riserverà domani.

Parco di Ranomafana

16 agosto venerdì

La giornata inizia alle 7 del mattino con una camminata nella foresta del Parco di Ranomafana. Sebbene sia una foresta secondaria, è molto bella e ricca di vita. Il sentiero è un continuo saliscendi, faticoso ma assolutamente fattibile. Di tanto in tanto, ci fermiamo e deviamo in mezzo al fogliame per cercare di individuare alcuni animali. Uno degli incontri più toccanti è con l’ultimo lemure dorato rimasto nella foresta. Essendo endemico di questa zona e praticamente estinto, vederlo è un’esperienza triste e malinconica.

Vediamo anche alcuni lemuri marroni, ma sono molto in alto sugli alberi, difficili da fotografare. Proseguiamo il cammino fino a un belvedere, mentre Gian e un’altra guida si avventurano più in alto nella speranza di avvistare altri lemuri. Al loro ritorno, Gian ci riferisce di aver visto un’altra famiglia di lemuri marroni, anche questa molto in alto sugli alberi.

Al belvedere, incontriamo una mangusta dalla coda ad anelli che si muove senza timore tra di noi. È una creatura splendida, più carina e piccola rispetto alla sua cugina africana. Sulla via del ritorno, la guida ci mostra un geco dalla coda a spatola, che si mimetizza perfettamente con l’ambiente circostante, assomigliando in tutto e per tutto a una foglia marcia e rinsecchita. È così ben camuffato che, anche dopo averlo fotografato, faccio fatica a distinguere la testa dalla coda.

Le piante della foresta sono un altro elemento affascinante della passeggiata, con il 90% delle specie endemiche della regione. Torniamo al resort per il pranzo, bagnati sia per la pioggia che per il sudore. Una doccia calda e un maglione pesante ci ristorano, dato che per la prima volta sentiamo davvero freddo.

 

 

Il pranzo è ottimo: scelgo una zuppa calda e abbondante di carne con pasta, arricchita con pezzi di zebù, pollo, maiale, salame, polpette e uova sode. Il brodo è saporito e confortante, perfetto per la giornata fresca.

Alle 14:30 partiamo per visitare il villaggio dei Renala, gli ex abitanti della foresta. Questa tribù ha sempre vissuto all’interno della foresta, praticando l’agricoltura con la tecnica del taglia e brucia. Prima di arrivare, ci prepariamo portando con noi bibite dolci per le donne, caramelle per i bambini, e rum (che deve essere acquistato nel villaggio stesso, perché quello industriale non è considerato adeguato). Inoltre, dobbiamo fare un’offerta in denaro per il capo del villaggio, per il suo vice, per i danzatori e per l’organizzatore del giro.

Al nostro arrivo, il capo villaggio ci accoglie nella casa comune, insieme al fratello e a una rappresentanza degli abitanti, inclusi molti bambini. Dopo averci presentato agli dei del villaggio, offre rum agli spiriti e a noi, seguito dalle bibite per le donne e dalle caramelle per i bambini. Dopo i discorsi di benvenuto, possiamo fare domande sulla vita nel villaggio e le loro usanze. Segue una serie di danze al ritmo delle canne di bambù, con cui i danzatori percuotono il suolo, mostrando la loro abilità e cultura.

Ci mostrano anche alcuni semplici oggetti artigianali di loro produzione, come collanine di semi e cappellini intrecciati in paglia. Poi, giriamo liberamente per il villaggio, fotografando gli abitanti intenti nelle loro attività quotidiane, prima di salutarli.

Dopo la visita, facciamo quattro passi nel centro di Ranomafana, un minuscolo villaggio con poche attrazioni. Attirati dalla musica, scopriamo una rudimentale giostra di legno, dove i bambini si divertono su cavallini di legno e cassette colorate appese a una ruota. La giostra è fatta girare a mano da due ragazzini che corrono, spingendo due dei cavallini, una scena tanto semplice quanto affascinante.

Rientriamo al resort, dove Kopela ci presenta una venditrice di vaniglia che ci offre un flaconcino di essenza a un prezzo piuttosto alto. Dopo l’acquisto, ceniamo in albergo, un’opzione quasi obbligata visto che in zona non ci sono molte alternative, e poi ci ritiriamo presto per la notte, stanchi ma soddisfatti delle esperienze della giornata.

verso Antsirabe

17 agosto sabato

La giornata inizia con una lunga traversata sull’altopiano, con paesaggi che scorrono davanti a noi mentre ci dirigiamo verso Antsirabe. Ci fermiamo per pranzo ad Ambositra, in un ristorante che accoglie tutti i turisti di passaggio, essendo l’unico decente della zona. Lì ci danno il benvenuto con una danza tradizionale, una performance che sembra essere parte del pacchetto per chiunque si fermi a mangiare.

Dopo il pranzo, ci portano a visitare un laboratorio di artigianato a Zafimaniry, dove gli artigiani lavorano il legno in condizioni davvero difficili. Le condizioni di lavoro sono precarie, e questo influenza anche la qualità dei prodotti, tanto che non troviamo nulla che ci colpisca abbastanza da acquistarlo. Purtroppo, non ci permettono di visitare i negozi lungo la via, quindi ci accontentiamo di guardare quello che ci viene mostrato.

Proseguiamo il viaggio verso Antsirabe, dove ci fanno visitare un hotel costruito intorno al 1870 dai Francesi. Questo luogo ha ospitato il re del Marocco durante il suo esilio forzato. L’hotel, che un tempo era splendido, ha subito un evidente declino da quando il Madagascar ha ottenuto l’indipendenza nel 1960, e la manutenzione è stata trascurata. L’atmosfera decadente ha comunque un fascino malinconico, che ci trasporta indietro nel tempo.

 

 

Dopo la visita all’hotel, ci dirigiamo a piedi verso la vecchia stazione ferroviaria, anch’essa abbandonata dall’indipendenza, insieme alla ferrovia che ormai non esiste più. Sul nostro cammino, scopriamo un affascinante luna park, dove, oltre alla solita giostra dei cavallini a trazione umana, ci sono anche due ruote panoramiche, una delle quali alta una ventina di metri. Anche queste ruote funzionano a trazione umana: quattro ragazzi salgono su una scala fino al perno centrale, si appendono ai raggi della ruota e si spostano verso l’esterno, facendo girare la ruota con il loro peso. È un sistema incredibilmente ingegnoso e affascinante, anche se non privo di rischi.

Davanti alla vecchia stazione, ci imbattiamo in un concerto gospel di un famoso cantante locale. Il pubblico è entusiasta e partecipa battendo il ritmo con le mani, creando un’atmosfera vibrante e coinvolgente.

Finalmente, ci dirigiamo al nostro albergo per la notte, un luogo davvero particolare e incantevole. Si tratta di un giardino lussureggiante con laghetti, ponticelli e isole adornate con gazebo pieni di piante di orchidee. Salendo alcune scale, si raggiungono altre terrazze del giardino, ognuna decorata con piante di varietà uniche, mai viste prima. Le camere sono inserite in piccole casette di mattoni rossi con il tetto in paglia, che si integrano perfettamente con l’ambiente circostante. Anche la reception è in mattoni rossi e l’interno è estremamente accogliente. La nostra camera è deliziosa, calda e invitante.

Per cena, torniamo nello stesso ristorante del secondo giorno, dove gustiamo un pasto eccellente, confermando la qualità che avevamo già apprezzato. La stanchezza della giornata si fa sentire, e con i 14 gradi che ci avvolgono, ci ritiriamo presto nella nostra accogliente camera, pronti per una notte di riposo.

da Antsirabe ritorno verso Tana.

18 agosto domenica

La giornata inizia con la partenza da Antsirabe per un lungo viaggio di ritorno verso Tana. Il percorso ripercorre la stessa strada dell’andata, e dopo giorni di avventure e continui spostamenti, mi sento completamente esausta. Durante il viaggio, inizio a sentire nausea, un fastidio allo stomaco, e una sensazione crescente di febbre. La situazione non migliora vedendo alcuni gravi incidenti lungo la strada, che coinvolgono sia auto che taxi brousse. Essendo domenica, il traffico è intenso, rendendo il viaggio ancora più stressante.

Finalmente, arriviamo all’albergo a Tana per pranzo. È lo stesso in cui abbiamo soggiornato all’andata, un luogo confortevole e carino, gestito da due italiani. Non mi sento bene e mangio solo una patata al forno. Dopo pranzo, mi misuro la febbre e scopro di avere 38,7°C. Mi concedo un pisolino per cercare di riprendermi un po’.

Alle 15:30, nonostante il malessere, l’autista e Kopela ci portano a visitare il Palazzo Reale del Madagascar, situato in una splendida posizione panoramica in cima a uno dei 12 colli che compongono Tana. La città, per certi versi, ci ricorda La Paz, anche se non ha lo stesso fascino. Una guida locale, con molta buona volontà ma un italiano piuttosto stentato, ci illustra i vari oggetti contenuti nel palazzo, che è stato ricostruito cinque anni fa dopo un incendio devastante che aveva distrutto tutto. Tra le cose che ci colpiscono di più ci sono i pavimenti in legno intarsiato, che sono davvero stupendi, un esempio di maestria artigianale. La ricostruzione del palazzo è stata affidata a una società francese, e il risultato è notevole.

 

 

Al ritorno in hotel, Gian Maria si intrattiene a chiacchierare con uno dei proprietari, scoprendo alcune realtà sorprendenti del Madagascar. Un pilota guadagna appena 500€ al mese, mentre una hostess ne guadagna solo 100€, e non sono previsti né contributi né liquidazioni. Le tasse sono minime, ma un biglietto aereo da Tana a Tulear costa 200€, garantendo un bel profitto per la compagnia aerea.

Inoltre, il 30% di quanto si paga per il carburante va a una tassa per la manutenzione delle strade, ma visto lo stato disastroso delle infrastrutture, nessuno sa dove finiscano quei soldi. L’acquedotto di Tana ha gravi problemi: di notte non c’è pressione, e di giorno l’acqua è spesso mista a terra. Per garantire acqua pulita al suo hotel, il proprietario ha dovuto scavare, quasi di nascosto, un pozzo profondo 170 metri, affidandosi a una società cinese, un’operazione costata ben 20.000€.

Questa realtà, fatta di contrasti e difficoltà quotidiane, ci lascia riflettere mentre ci prepariamo a concludere la giornata, consapevoli delle sfide che la gente del Madagascar affronta ogni giorno.

Giro in città (Tana) e ripartenza per l'Italia

19 agosto lunedì

La mattina inizia alle 8:30 con una visita al magazzino di un amico dei proprietari dell’hotel, che si occupa della lavorazione di pietre preziose e possiede anche alcuni minerali grezzi. Veniamo prelevati da Kopela, accompagnato da un nuovo autista, poiché l’autista precedente ha deciso di tornare a Tulear la notte scorsa. Il proprietario del negozio è un friulano magrissimo, alto più di due metri, che ci racconta come 25 anni fa il Madagascar dovesse essere solo una tappa intermedia nel suo giro dell’Africa, ma che alla fine decise di stabilirsi qui.

Il magazzino contiene pochi minerali, e non di qualità eccelsa. Tuttavia, acquisto alcuni piccoli pezzi e uno un po’ più grande che mi sembra un diopside, anche se il proprietario non riesce a identificarlo con precisione.

Dopo la visita, Kopela ci guida in una passeggiata a piedi nella zona intermedia di Tana, considerata la più interessante per i turisti. Scattiamo qualche foto di “street photography” e vengo tentata da una coloratissima borsa di paglia che decido di acquistare. Passeggiamo poi nel mercato degli alimentari, dove ci accoglie una grande varietà di frutti, verdure e spezie, esposte in modo ordinato. Un banco all’ingresso del mercato vende vasetti di vetro con tappo, entrambi rigorosamente riciclati. Una ragazza è intenta a lavarli in un mastello di acqua e sapone. Molti banchi di verdura espongono prodotti sotto vetro, conservati in modo ordinato e colorato, tutti in vasetti riciclati. Compro alcuni minuscoli bulbi di orchidea, sperando che le fotografie che li accompagnano, raffiguranti splendidi fiori, siano fedeli alla realtà.

 


Durante il giro al mercato, vediamo un banco che espone una varietà di gamberetti di tutte le dimensioni, circondati da un nugolo di mosche. Tra questi, notiamo dei bellissimi gamberoni enormi. Mi viene la curiosità di chiedere a Kopela come facciano a essere freschi, visto che il mare è ad almeno due giorni di strada e durante il viaggio non abbiamo mai visto un camion frigorifero, né tantomeno un frigorifero in tutto il Madagascar. Con convinzione, Kopela mi spiega che i gamberoni sono cotti direttamente sulla costa dove vengono pescati. Una volta bolliti, secondo lui, si conservano bene a temperatura ambiente anche per un mese, mosche comprese. Concludiamo che abbiamo fatto benissimo a evitare il pesce dopo aver lasciato la costa.

Tornati in hotel, abbiamo giusto il tempo per stipare gli ultimi acquisti nelle valigie e lasciare la camera. Dopo un ultimo pasto delizioso, ci dirigiamo verso l’aeroporto. Durante il tragitto, che all’andata avevamo percorso a notte fonda, vediamo che Tana è circondata da bidonville fatte di pezzi di lamiera, in condizioni degne dell’India di 50 anni fa, e da piccole risaie. Notiamo anche la costruzione di una funivia che collegherà il lussuoso quartiere residenziale, dove vive anche il Presidente, al centro città, dove si trovano i ministeri e gli uffici. Questo permetterà ai residenti di evitare il caotico traffico di Tana.

Concludiamo così il nostro viaggio, con il contrasto tra la bellezza naturale del Madagascar e le difficili condizioni di vita di molte persone che ci lasciano riflettere profondamente.

Conclusioni

dopo 20 gioni in Madagascar cosa consigliamo?

Il Madagascar è un’isola vastissima, ricca di una biodiversità straordinaria che cambia radicalmente a seconda della latitudine e della stagione. Per esplorarla completamente, servirebbero almeno due mesi. Durante il nostro viaggio, siamo rimasti affascinati dalla bellezza dei paesaggi e, soprattutto, dalla cordialità e dal sorriso della gente del posto. Tuttavia, le condizioni delle strade si sono rivelate un vero incubo: nonostante fossimo preparati, siamo stati sopraffatti dalle buche e dalle difficoltà di percorrenza. Visitare il Madagascar è un’esperienza unica e imperdibile per chi ama la natura e le culture autentiche. Tornarci? Non siamo sicuri di avere l’energia per affrontare di nuovo quelle strade, ma i ricordi che abbiamo vissuto resteranno con noi per sempre.