Un viaggio di 30 giorni che parte dal Cile, sconfina nel Nord dell’Argentina, ritorna in Cile a San Pedro de Atacama e attraversa le catene montuose per arrivare in Bolivia, la casa di Che Guevara. Dall’Italia abbiamo solo prenotato la macchina per 15 giorni in quanto per attraversare la frontiera Cile/Argentina ci vuole un visto particolare. Puoi tutto è stato semplice, anche attraversare tutte le frontiere.
Contenti di partire da Torino voliamo con Iberia fino a Madrid e poi con Latam a Santiago. Partiamo alle 7,30 del mattino . Il volo Internazionale non è male, direi nella media. A Santiago con il taxi raggiungiamo Altura residence, nel centro città. Alle 8 di mattina c’è molto traffico, ed è abbastanza lento. La camera è moderna e spaziosa, cosi apriamo le valige e dal 21 piano si vede benissimo la città circondata da montagne innevate.
Di fronte alla camera si vede il Cerro Santa Lucia che è una montagnola di basalto colonnare su è stato ricavato un parco con tanto di terrazze panoramiche , castello per i ricevimenti, fontane ,ripide scale di andesite e boschetti dove si imboscano le coppiette. Alcune piante grasse con alti fiori arancioni ospitano colonie di colibrì. Scendiamo subito in strada ( siamo in pieno centro) e vagabondiamo per le strade già affollate di gente che… cammina velocissima!. Raggiungiamo avenida Alameda ed arriviamo alla Moneda. Il “centro cultural” ospita mostre temporanee, di design e di artigianato locale. Tutto è molto curato ed il design eccellente. Giriamo in “placia dell’indipendencia” piena di Militari e poliziotti.
Un poliziotto si fa ritrarre con il suo cane che si siede con le due zampe anteriori in alto e saluta. Visitiamo la chiesa de San Francisco che è molto particolare e splendida nella sua semplicità poi il museo colonial nel suo chiostro con tantissime opere dei gesuiti del 600 ed il giardino centrale con i pavoni ed alcune bellissime galline. Conosciamo anche Pedro il famoso gallo mascotte dei cittadini di Santiago. Passiamo poi al museo pre-colombino, 10€ decisamente ben spesi. L’allestimento è stupendo e gli oggetti esposti veramente notevoli, vasi, statue, tessuti delle varie civiltà pre-colombiane. Continuiamo a passeggiare per il centro. Visitiamo anche la chiesa di Santa Rita e quella della Merced. Finiamo la giornata con il tramonto dal cerro Santa Lucia. Ceniamo in un ristorante giapponese che però non è un granché
Non ancora stanchi facciamo due passi in centro e inseguiamo alcuni mascheroni seguiti da tamburi e giocolieri per le vie del centro.
Vediamo l’alba dietro le montagne dalla finestra della camera ma il cielo è un po’ coperto e non è un granché
Prendiamo la metropolitana ed andiamo verso il campo da golf principale di Santiago ma non ci fanno neanche entrare a vederlo perché è riservato ai soci. La zona è bellissima, grattacieli bianchi con terrazze panoramiche grandissime e giardini curatissimi. Camminiamo per alcuni chilometri fino all’Hard Rock Cafe dove compriamo alcuni regali. Continuiamo a viaggiare con la metropolitana e raggiungiamo lo stadio centrale di qui percorriamo a piedi parecchi chilometri fino alla sede di un’agenzia turistica di amici di Gian per portare dei cioccolatini. L’agenzia è in uno strano magazzino. Non lontano di li pranziamo in un ristorante molto bello e parecchio elegante, “La providencia gastronomica” che ci hanno detto essere uno dei migliori del Sud America: CONFERMIAMO
Camminiamo poi ancora per 7 o 8 chilometri fino alla casa di Pablo Neruda. La visita alla casa con l’audio guida è veramente interessante. Per passare da una camera all’altra si percorrono ripide scale che attraversano il giardino roccioso. Il quartiere è composto di case basse con le facciate coperte di murales coloratissimi e molto belli. Alcuni isolati nascondono giardini interni pieni di locali e gallerie d’arte. La popolazione è molto giovane e dall’aria un po’ hippie.
Di li ci dirigiamo di nuovo verso l’ albergo passando per alcune vie popolate di ragazzi che si esercitano a ballare, camminare sulla fune, fare i giocolieri, mentre alcune ragazze si fanno elaborate pettinature con treccine ed extension colorate. Un gruppo di venditori di cibo di strada si sposta rapidamente appena passano due carabinieri, per ricostituire il loro mercatino alcuni metri più in la. Più tardi il simbolo della cannabis sui loro dolci, ci fa capire perché si sono spostati così in fretta. Torniamo in albergo esausti per un riposino. Usciamo per cena e camminiamo di nuovo per il centro. E’ pieno di venditori abusivi che scappano rapidamente appena vedono i carabinieri ma si riposizionano altrettanto rapidamente.
Vediamo la Placia de armas che molto bella e piena di verde.
Facciamo un ultimo giro per il centro storico e scopriamo alcune bellissime costruzioni dell’epoca coloniale. Visitiamo la chiesa di Santo Domingo. Prima di tornare in albergo cerchiamo di prelevare dal bancomat del Banco del Cile ma alla fine della procedura la macchina non ci da i soldi. Temendo una truffa Gian resta di guardia alla macchinetta mentre io vado all’interno a chiedere spiegazioni. Il muro di gomma dura più di un’ ora finché riesco a far uscire un impiegato che vede che in effetti la macchina non rilascia il denaro. Peccato che mi arrivino gli SMS di sicurezza che dicono che dal conto i soldi sono stati prelevati!! Dopo un’altra ora riesco ad ottenere che registrino i miei dati, la testimonianza dell’impiegato che i soldi non li ho avuti , e che mi inviino un resoconto via email. Chiamo in Italia chiedendo a Luca di verificare in banca il giorno successivo.
Il volo interno per Calama lo prendiamo con SKY, compagnia low cost ma ottima e parte in perfetto orario, il panorama delle montagne dall’alto è stupendo. Vediamo molte miniere. Arrivati all’aeroporto di Calama, ma all’Avis non risulta la nostra prenotazione e non hanno il nostro documento di autorizzazione per andare in Argentina con la macchina. Per avere il documento di espatrio della macchina normalmente servono 15 giorni ed è per questo motivo che abbiamo prenotato con largo anticipo. Dopo un’ora di discussioni, un impiegata molto scortese manda a prendere la macchina nella sede del centro di Calama. Nel frattempo pretende di farci firmare un contratto di affitto ad una cifra doppia rispetto a quella della prenotazione. Dice che in ogni caso pagheremo quanto pattuito ma si rifiuta di metterlo per iscritto. Dopo ampie discussioni sono costretta a far intervenire un poliziotto. A quel punto la signora maleducata diventa un po’ meno arrogante ma comunque dobbiamo firmare il documento. La macchina ci viene consegnata sporca e danneggiata e con una scritta sul vetro che dice di non usarla. Presi dallo sfinimento la ritiriamo ed andiamo in Hotel, dove ceniamo riproponendoci di andare alla sede centrale dell Avis il mattino dopo per verificare la situazione
Per prima cosa andiamo all’Avis in centro a Calama dove con poche parole ed in modo molto gentile risolvono tutti i nostri dubbi. La scritta “non usare la macchina” era perché il contratto per espatriare era legato a quella targa specifica.
Mentre facciamo il ceck out dall’hotel due fortissime esplosioni rischiano di far implodere le vetrate della hall. Alla radio sentiamo poi che le stesse esplosioni sono state avvertite in tutta la regione ma nessuno sa fornire una spiegazione. Dopo aver fatto rifornimento di acqua minerale partiamo per San Pedro de Atacama. La strada attraversa un deserto polveroso punteggiato di miniere. Raggiungiamo San Pedro dopo aver attraversato alcuni passi molto panoramici.
San Pedro è un paese di adobe con strade di polvere. Il nostro hotel è una piccola struttura in adobe con tetti di paglia attorno ad un cortile popolato di cani e di gatti però è lungo una delle poche strade non in terra battuta. La camera è molto graziosa. Giriamo per il paese poi cerchiamo un punto panoramico sulla valle della luna per vedere il tramonto. Bello ma ci aspettavamo molto di più. Alla sera cena tra le vie animatissime di San Pedro poi a dormire un po’ infreddoliti.
Ottima colazione. Scopriamo che la marmellata di more cilena è eccezionale. Uscendo capiamo perché la sera prima ci sentivamo un po’infreddoliti…. nella via c’era una pozzanghera completamente congelata.
Ci dirigiamo a sud su di una strada che in 200 km tra alti vulcani e lagune conduce al confine argentino A una quarantina di km visitiamo Toconao, un minuscolo villaggio andino nel nulla . (Niente di che) Proseguiamo fino a Socale ancora più piccolo e sperduto, sull’altipiano, con un chiesetta di Adobe piuttosto carina. Saliamo ancora ampiamente sopra i 4000 mt fino alle lagune di Miscanti e Miniques circondate da vulcani ampiamente sopra i 5000 mt Proseguiamo quindi in una valle dove i vulcani si fanno sempre più alti, impressionanti e minacciosi, (ma anche sempre più colorati) fino al salar del Taliar ed alle lagune di agua caliente fino al Trujlio deviando fino quasi alla laguna Incawasi che segna il confine con l’Argentina.
Al ritorno la luce inizia a cambiare e le erbe della puna diventano giallo arancio. Vediamo alcuni gruppi di vicunas. Scendiamo sin dopo Socale dove deviamo verso il salar de Atacama. Anzi ci entriamo proprio su una strada in terra (o meglio dire sale) battuta per una 30 di chilometri fino alla laguna Ciaxa. Spettacolo incredibile tra pinnacoli di sale, popolata di fenicotteri. Qui vediamo tramontare il sole dietro un vulcano mentre la laguna si colorava e tutti gli altri vulcani cambiavano colore dall’arancio al rosa fino al viola. Tornati al buio raggiungiamo San Pedro per una lauta cena.
Al mattino visita della valle della luna. E’ un parco all’interno della cordillera del sal. Valli scoscese pinnacoli di roccia dune di sabbia del colore del sale oppure rosse e dorate. Molto molto movimentato. Ricorda certe zone dell’Arizona
Subito dopo visita a Tulor. Insediamento indigeno con le rovine di un villaggio del neolitico costituito da case circolari di adobe. Tutte le porte erano orientate verso il Licancabur (vulcano). Sembrava un quadro. Una signora locale ci ha spiegato di che vegetali si nutrivano, che erbe medicinali utilizzavano e quali usavano per i tetti. C’erano anche alcuni uccelli impagliati ormai quasi estinti. Siamo poi andati verso Quitor per vedere un villaggio fortificato ma è chiuso per restauri.
Andiamo alle lagune Cejar de Pedra e Tebenquiche Sono simili a quella di Ciaxa ma non ci sono i fenicotteri.
Mentre ci trasferiamo da una laguna all’altra vediamo un rapace bianco posato su un cespuglio. Non è per nulla spaventato e lo possiamo fotografare per un bel po’. E’ uno degli uccelli che abbiamo visto impagliati a Tulor e dichiarati in via di estinzione. Vediamo due laghetti rotondi verdissimi che forano la distesa bianca del salar. La gente ci fa il bagno. Torniamo in camera a cambiarci verso le 5 poi usciamo per cena ed alle 8,20 partiamo per l’osservazione delle stelle. Ci portano in un posto buio poco distante da San Pedro dove hanno montato 6 telescopi. Dopo esserci abituati al buio vediamo ad occhio nudo la via lattea i telescopi ci fanno vedere Giove e le sue lune, alcune costellazioni come la farfalla e l’anello, la nebulosa di Magellano ed alcune stelle doppie. Vediamo due stelle cadenti. Io e Gian fotografiamo la via lattea. (Da una prima osservazione sembra che sia venuta bene)
Ci alziamo alle 4,15 e partiamo diretti verso i Gejser del Tatio. La strada (90km) è in parte in terra battuta Saliamo parecchio. E’ buio pesto e la temperatura scende fino ai -17 gradi. Raggiungiamo i Geiser prima dell’alba ed iniziamo a fotografare un paesaggio surreale di fumarole. Poi sorge il sole e si creano giochi di luce fantastici. Non saremmo più venuti via.
Lungo la strada del ritorno scopriamo di aver attraversato paesaggi mozzafiato , una sconfinata pianura orlata di vulcani tra cui il vulcano Putana che dalla sommità emette fumarole. Ai piedi del vulcano una laguna ghiacciata è popolata di uccelli di tre o 4 specie diverse che covano come se nulla fosse in ciuffi di erba che affiorano dall’acqua camminando sul ghiaccio.
Proseguiamo poi verso un piccolissimo villaggio Guatin con una tipica chiesetta andina. Torniamo a San Pedro per il pranzo poi ripartiamo verso Yerba Buena dove un gruppo di rocce sferiche è coperto di petroglifi. Proseguiamo poi per la valle Matancila che è uno spazio assolutamente irreale che in alcuni punti assomiglia a Brice Canyon in altri ad Antelope in altri sembra una torta di panna bianca che si sta sciogliendo con pinnacoli di pietre rosse con coni verde smeraldo strisce azzurre e righe bianche con forme molto strane che ricordano statue. Dobbiamo guadare alcune volte una vena d’acqua che passa sul fondo. Facciamo un pezzo della strada per Rio Grande ,dove il paesaggio è grandioso e costeggiamo un canyon verticale molto stretto con pareti rosse. Poi torniamo a San Pedro (una 50 na di Km)
Partenza da San Pedro verso l’Argentina passando verso sud dalla strada di Toconao. Tra Toconao e Sicotre passiamo vicino al vulcano Lascar e vediamo che fuma. Due giorni fa era spento. La strada è quella che abbiamo già percorso fino alla laguna Incawashi ma poi prosegue in un paesaggio ancora più irreale con vulcani perfettamente conici, caldere dai colori pastello vallate coperte di cespugli rotondi giallo vivo dove pascolano vigogne e guanachi con irreali rocce erose che emergono dal nulla, fin verso il passo di….. Fino al confine cileno la strada è bella ed asfaltata poi comincia una pista in terra battuta a tratti sabbiosa. Si ha la sensazione di essere alla fine del mondo. Il posto di controllo di frontiera si trova su di uno sconfinato salar, in mezzo al nulla. Mi chiedo cosa abbiano combinato i 6 tra poliziotti e doganieri che si trovano li per essere stati mandati a lavorare in un posto del genere. La strada prosegue per parecchie decine di chilometri tra vallate aperte che poi si stringono in passi elevatissimi. In un salar sconfinato vediamo 4 o 5 campi solari di parecchi ettari, ed altri in costruzione. Sono realizzati da ditte cinesi. Dopo qualche chilometro da un cantiere vediamo un pick-up per traverso in mezzo alla strada che ha evidentemente capottato un po’ di volte. Sono già stati messi i birilli di segnaletica ma l’autista appoggiato al suo mezzo non ha una buona cera. Dopo una buona mezz’ora di strada incrociamo una macchina della polizia ed un’ ambulanza che probabilmente dovevano raggiungere il luogo dell’incidente. Proseguiamo sulla strada fino ad un passo dove veniamo fermati perché una macchina movimento terra sta facendo la strada. In un paesaggio completamente arido da centinaia di chilometri un piccolo rio costeggia la strada . Ci stupisce che in un posto ove l’acqua è tanto rara e preziosa nessuno l’abbia incanalato ne sia presente alcun uccello. La risposta ce la da l’operaio che ci ferma per la riparazione della strada.
L’acqua , che sgorga da un vulcano, è inquinata da acido solforico. Procediamo nel nulla incrociando ogni tanto enormi camion ad alta velocità che trasportano minerali. Quando passano sollevano nuvole di polvere che per un po’ impediscono completamente la vista. La strada poi riprende ad inerpicarsi sempre più stretta e tortuosa su strapiombi altissimi. Siamo ampiamente sopra ai 5000 metri. Ho il terrore di incrociare uno di quegli enormi camion. Non ci sarebbe lo spazio per fuggire. Finalmente al fondo di una valle deserta con solo le tracce di una improbabile ferrovia a scartamento ridotto, giungiamo alla nostra meta Sant’Antonio del Cobre. E’ un insieme di cubi di fango su strade polverose costellate di rottami di auto e mezzi industriali. La via principale porta ad una chiesa molto ben tenuta dove una buona parte della popolazione, dagli evidenti tratti somatici andini, sta recitando il rosario. Dormiamo in un B&B annesso ad un bar molto semplice e pulito e ceniamo in un ristorante “Quinoa real” dove ceniamo in modo spettacolare con carne di lama quinoa e jujui il tutto cucinato all’istate con squisite erbe locali. Oggi abbiamo percorso soltanto circa 250km ma su strade talmente impegnative che siamo veramente distrutti.
Nono giorno mercoledì 7 agosto
Partenza da San Antonio de Los Cobres al mattino dopo aver cercato di cambiare in banca (ma c’era un ora di coda ed abbiamo rinunciato). Siamo andati dal benzinaio in coda con vecchissimi pullman e trattori. I militari ci hanno permesso di fotografare i carri armati. Ci siamo diretti a sud sulla strada per Salta (che è asfaltata benissimo).
La strada è spettacolare tra rocce di tutti i colori e tutte le forme. Ci fermiamo a Tastil a visitare una città del 1450 a.c. su un cocuzzolo dove vivevano più di 5000 persone. Le case erano a pianta circolare mente i muretti che delimitavano i terrazzamenti coltivabili erano rettangolari. Successivamente visitiamo il museo nel paesino di Santa Rosa e mi compro una ciotola di legno di cactus. Proseguiamo per la strada sempre più spettacolare e costeggiata da foreste di cactus a candelabro giganteschi.
Il nostro albergo “Antico convento” è proprio in centro e passeggiamo per la città. Cambiamo in un negozio di cambiavalute, dopo aver valutato se non era meglio il cambio” in strada”, ma alla fine non era cosi conveniente e di soldi falsi ce ne sono molti, quindi meglio non rischiare.
Purtroppo il museo di archeologia oggi è chiuso (volevamo vedere tre mummie di bambini ritrovati nel 1999 su di un vulcano con un interessante corredo funebre).
Un po’ delusi visitiamo la chiesa di San Francisco, quella della Merced ed un’altra poi ci diamo allo shopping. La cittadina è piacevole ed alla sera ceniamo nel ristorante Sol del convento e mangiamo molto bene spendendo piuttosto poco
Decimo giorno giovedì 8 agosto
Partenza da Salta verso Cafayate Il benzinaio ci chiede come facciamo ad avere una macchina così sporca, quando gli spieghiamo da dove arriviamo si mette a ridere e dice. “Già… capisco!”. La prima parte di strada non è un granché passa tra campagne invernali La seconda entra nella quebrada de Cafayate che è un paesaggio roccioso e multicolore. Peccato che per la prima volta il cielo sia coperto, così i colori non risaltano. Ci infiliamo per un piccolo tratto nel canyon del diavolo e nell’anfiteatro. Sono formazioni rocciose rosse veramente spettacolari. Nell’anfiteatro un ragazzo suona la chitarra ed il flauto ed il suono è stupendo. Compro alcuni pezzi di minerali ed alcuni ciondoli molto belli per cifre ragionevoli.. Arriviamo a Cafayate in albergo poi proseguiamo attraverso vigneti molto strani. Strani prima di tutto perché non avrei mai creduto che le viti potessero prosperare in un deserto roccioso in mezzo ai cactus, secondo perché alcune vigne sono coltivate a toppia con tronchi alti due metri e di diametro circa 15 centimetri. Sembrano più alberi che viti.
Proseguiamo in direzione Tucuman verso la città abbandonata di Quilmes. E’ del 1500 avanti cristo ed è stata edificata da una civiltà pre-incarica, (i Quilmes appunto) su di un versante roccioso. Aveva due forti laterali in posizione dominante ed una serie di case di varie dimensioni in parte abbarbicate sulla montagna ed in parte estese in pianura. Sembra fossero più di 5.000abitanti. Furono conquistati prima dagli Incas ma resistettero agli spagnoli per più di 150 anni, dopo di che furono deportati a Buenos Aires e morirono quasi tutti nel trasferimento a piedi, che durò più di un’anno. I discendenti dei pochi sopravvissuti tornarono poi in zona ed oggi gestiscono il sito archeologico con grande orgoglio. La sera nel ristorante Pacha nel centro di Cafayate beviamo comunque un bianco buonissimo che è la dimostrazione che le viti prosperano bene. La proprietaria è un’italiana molto cordiale che chiacchera con noi molto volentieri e che ci dice che in 3 anni che gestisce il ristorante siamo soltanto la 4 coppia di italiani che incontra. Quando andiamo via ci da un biglietto con l’elenco di tutte le cose che dobbiamo assolutamente fare a Cafayate prima di andarcene, tra le quali una cavalcata nelle vigne ed una partita a Golf nel campo locale che pare essere uno dei migliori del sud America.
Undicesimo giorno venerdì’ 9 agosto
Incominciamo la giornata con la visita alla club house del Golf di Cafayate che è veramente una meraviglia. Dopo alcuni acquisti al pro-shop ed un mate al bar partenza verso Cachi. La route 40 è veramente varia. E’ in terra battuta ma abbastanza ben tenuta. Parte attraversando vaste distese di vigneti per inerpicarsi su colline deserte con qualche rarissima casa di adobe fino ad inserirsi in valli talmente strane dal punto di vista geologico che sembra che la natura si sia messa a dare i numeri. Tra paesaggi incredibili e colpi di scena ad ogni curva dopo 4 ore di salti e brevissime pause a Molino e Quimres?, che pur essendo la minima espressione di paese hanno un’atmosfera molto tranquilla ed affascinante, si giunge a Cachi che in se non varrebbe il viaggio perché ha poco altro da offrire se non una classica piazza circondata da bianchi porticati coloniali, una chiesetta e poche case attorno. E’ proprio il caso di dire che quello che conta non è la meta ma la strada per arrivarci. La strada da Cachi a Salta è asfaltata. Passa attraverso il parco dei cardones. Devo dire che i cardones qui sono molti ma particolarmente spelacchiati e malandati, quelli che abbiamo visto fin qui vicino a Cafayate o a San Antonio erano 10 volte più belli. La strada prosegue salendo per vaste piane dove ogni tanto passano branchi di guanachi. All’improvviso ci si rende conto di essere giunti ad un passo a 3600 metri di quota e si scende di 2000 m in brevissimo tempo su strada in sterrato attraverso valli ripidissime con cascate e paesaggi di alta quota veramente impressionanti. Si giunge poi a Salta . Purtroppo l’hotel molto carino dove avevamo prenotato l’altro giorno era pieno e così siamo dovuti andare in uno nuovo che è una topaia maltenuta. Peccato
La definizione della giornata è “dalle stelle alle stalle”
Dodicesimo giorno sabato 10 agosto
Visita al museo di Archeologia di Salta dove sono conservati tre bambini sacrificati degli Incas e sepolti in cima ad un vulcano. In questo periodo è esposta una bambina di 6 anni. La piccolina è raggomitolata ed avvolta in tessuti finissimi e coloratissimi. Il viso è perfetto. Il suo profilo è molto particolare perché in pratica il naso non sporge dal viso. Il corredo funebre è costituito da borsone di tessuto e statuine di argento vestite con tessuti multicolori e copricapi di piume. Impressionanti i sandali lunghi pochi centimetri. Ci trasferiamo a JuJuy. La strada per arrivarci si inerpica tutta curve su ripidi versanti coperti di foresta. Alberi enormi pieni di epifite. Voglio visitare il museo di archeologia dove sono conservati alcuni crani allungati ma è chiuso per restauri. La cittadina non è un granché ma sembra molto vivibile. Andiamo alla ricerca della più grande miniera di ferro del Sud America ma non riusciamo proprio a trovarla.
Allora andiamo a vedere un laghetto di alta quota (credo 3000mt). La strada per arrivarci è ripidissima, in sterrato. La prima parte passa tra una serie di villette dagli stili architettonici più disparati (da ville razionaliste a chalet di legno) con giardini molto curati. Il laghetto è un’oasi di pace Ci sediamo sulla terrazza dell’unico bar a bere qualche cosa. Una signora argentina di origine serba che parla italiano piuttosto bene discorre a lungo con noi. Scendiamo in città e compriamo alcune cinture in un negozio molto carino. La proprietaria, di lontane origini friulane, non sa ormai una parola di italiano, ma visto che parlo un po’ di spagnolo mi attacca un bottone incredibile. Alla fine ci da i suoi numeri di telefono perché di qualunque cosa dovessimo avere bisogno in caso di emergenza la contattiamo. Gironzoliamo in centro alla ricerca dei due ristoranti che ci hanno consigliato ma il primo (che per combinazione è quello dove abbiamo mangiato qualche empanadas a mezzo giorno) è chiuso, l’altro non è ancora aperto (apre tra tre quarti d’ora) chiediamo se possiamo aspettare nel locale perché la strada è buia e poco frequentata e ci dicono che non è possibile. Così ce ne andiamo. Quasi davanti al nostro albergo entriamo in una pizzeria dove mangiamo una pizza eccezionalmente buona, croccante ricchissima di formaggio..
Tredicesimo giorno domenica 11 agosto
Partenza da Jujuy verso Nord Tappa a Purmamarca per andare a vedere la montagna dei 7 colori. In realtà il paesino in adobe con popolazione indigena andina è molto carino e le vie pedonali sono piene di negozi e bancarelle che vendono souvenir, oggetti di artigianato e maglioncini di ogni tipo. Una festa di colori. La montagna poi ha dell’incredibile perché sembra veramente una tavolozza colorata. Proseguiamo per Tilcara. Altro paesino in adobe molto carino e con negozi coloratissimi. Volevamo visitare il museo archeologico dove a Jujuy ci hanno detto che si sarebbero potuti vedere i teschi allungati che non abbiamo potuto vedere la, ma oggi ci sono le elezioni ed è tutto chiuso. Proseguiamo verso nord ed entriamo nella chiesetta tutta bianca di Uquia dove ci sono quadri del 600 che rappresentano angeli armati di tutto punto come guerrieri (a dire il vero sembra che siano stati presi i quadri dei guerrieri spagnoli dell’epoca e vi siano state aggiunte le ali) Proseguiamo ancora fino Huamamarca dove raggiungiamo il nostro hotel. In realtà si tratta di un gruppo di casette di adobe che sono state trasformate in camere con bagno molto carine ed arredate con gusto.
Decidiamo di proseguire verso Nord per vedere la laguna di Pozuelos popolata di fenicotteri. Percorriamo una cinquantina di km poi a Tre Cruces vediamo da lontano un posto di blocco e ci viene in mente che abbiamo lasciato in camera il libretto della macchina ed allora torniamo indietro. Dato che abbiamo ancora buona parte del pomeriggio a disposizione tornati a Huamamarca ci dirigiamo verso i monti di Serrania de Hornocal Percorriamo 25km di sterrato in salita molto ripida e tortuosa, dapprima in una valle di cactus stupendi ed enormi poi a mano a mano che si sale in una di erbe gialle fino a raggiungere un belvedere a 4350m da dove si vede una parete rocciosa pieghettata a dente di sega di strisce bianche rosse verdi gialle beige viola. Se le montagne attorno a Purmamarca già ci avevano sorpresi queste sono decisamente più pittoresche. Nonostante la pastiglia per il mal di altitudine Gian non si sente molto bene, e riesco a comprare un pacchetto di caramelle dall’unico banchetto presente. Aspettiamo un po’ perché i colori a mano a mano che si avvicina la sera diventano sempre più intensi. Scendiamo di nuovo in paese. Facciamo un giretto tra vicoli e scalinate fino all’ora di cena quando mangiamo piuttosto bene da Pacha Macka. Carne gustosissima con patate andine (che hanno tutti i colori possibili ed immaginabili ma sono grandi come uova di quaglia rotonde e gustosissime) Finiamo con dolci classici del luogo un po’ troppo dolci. Decidiamo di fermarci una notte in più per poter raggiungere la laguna dei fenicotteri il giorno dopo.
14 giorno. Torniamo a Tilcara per vedere il museo archeologico, ma anche se ci sono alcuni vasi molto belli, i teschi non ci sono. Chiediamo spiegazioni al custode del museo storico confinante (perché il guardiano del museo archeologico non sapeva nulla) e ci spiega che dato che è proibito esporre resti umani nei musei, i teschi sono stati rimandati nel luogo del ritrovamento. Chiediamo dove, e ci dice San Pedro de Atacama, però può darsi che siano a Huamamarca. Ci dirigiamo a nord per vedere la laguna di Pozuelos. C’è una strada molto più corta (50km di sterrato) che parte da Abra Pampa (dalla 9 che è l’unica strada asfaltata) ma ci dicono che è in cattivo stato sia all’ufficio del turismo di Huama che ad un distributore ad Abra Pampa. Dobbiamo così percorrere una 50ina di km in più sulla 9 fino a La Intermedia e di qui prendere la strada in sterrato che raggiunge il lato nord della laguna. La strada di inerpica su alcune montagne fino a 4350m poi ridiscende. La zona è completamente deserta, se si eccettua la presenza di bellissimi cactus testa di vecchio (con i capelli bianchi lunghi) e di parecchie mandrie di lama e di Vigogne. Non c’è nulla, ma nel nulla lungo la sterrata lunga una 40ina di km vediamo ben 4 scuole. Dove siano i bambini non ne abbiamo idea. La strada ogni tanto si biforca e non ci sono cartelli, così un paio di volte ne scegliamo una a caso. Una di queste è sbarrata da un guado che per la nostra auto è impassabile così torniamo indietro
Comunque raggiungiamo la laguna, o meglio la vediamo dalla strada che la costeggia alla distanza di un paio di km. Chiediamo indicazioni infilandoci nel cortile di una casa e ci mandano sul lato sud della laguna dove c’è un ranger che ci spiega come raggiungere la laguna (7km in auto+ 3/4 a piedi). Qui vediamo moltissimi uccelli tra i quali i fenicotteri, ma appena ci avviciniamo volano via. Mentre ci avviciniamo riusciamo ad essere molto vicini ad alcuni branchi di Vigogne selvatiche. Il paesaggio attorno alla laguna è costituito da una sconfinata pianura desertica con appena un velo di erba gialla secca (assomiglia molto ad una zerbino di quelli di fibra vegetale) A nord si intravvede in lontananza una catena montuosa che segna il confine con la Bolivia ad Ovest una serie di vulcani incappucciati di neve che segnano il confine con il Cile. Il paesaggio è surreale e alla laguna ci siamo solo noi (e le vigogne). Ritorniamo poi a Huamamaca seguendo la strada più breve (quella che ci avevano detto che non era percorribile ma che invece è in ottimo stato) e risparmiamo un sacco di tempo. Per strada ci godiamo i colori che assumono le montagne al tramonto. Ceniamo nello stesso ristorante della sera prima ma questa volta ci vogliono 2 ore e siamo stanchi..
Partiamo alla volta del Cile. Passiamo da Tilcara con l’idea di cambiare i pesos in sucres ma non ci riusciamo. Ieri il pesos a causa del risultato delle elezioni ha perso il 30% in un colpo solo e presi dal panico gli argentini vogliono dollari ed euro, non ci pensano proprio a ricomprarsi i pesos. Proviamo a passare da Purmamarca ma anche qui le cose non cambiano. Meno male che abbiamo già visto le rocce colorate l’altro giorno perché a causa di una caduta termica la valle è piena di nebbia e si vede poco. Appena ci alziamo di quota il cielo torna terso. Saliamo di quota rapidamente sempre tra paesaggi spettacolari e rocce sempre diverse e coloratissime. Superiamo alcuni passi di 4300 metri poi scendiamo al Salar Grande. Il salar è gestito da una cooperativa di indigeni che oltre a raccogliere il sale gestisce il flusso dei turisti. La strada attraversa il salar da est ad ovest ed è in rilevato di un paio di metri , questo permettere di evitare che venga sommersa con le piogge di novembre dicembre.
Lungo la strada ci sono due o tre piazzole dove ogni comunità indigena allestisce i propri banchetti di sale ove vendere souvenir. Per l’equivalente di 6 euro, una guida ci apre una catena che da accesso al salar, sale sulla nostra auto e ci accompagna a vedere le vasche dove viene raccolto il sale di prima qualità (quello per uso alimentare). Le vasche sono piene di acqua di un turchese stupendo. Poi ci spiega che il sale di seconda qualità viene raccolto con una ruspa sulla superficie grattando solo i 5mm più superficiali ed il suo uso è riservato alla zootecnica. Il sale viene anche raccolto in blocchi, spezzandolo lungo le suture degli esagoni naturali che si formano per evaporazione. Questi blocchi sono riservati alle costruzioni. La guida ci porta poi a vedere i cosiddetti occhi. Si tratta di fori naturali causati dalla presenza di sorgenti sotterranee. La presenza di acido carbonico, di origine vulcanica impedisce al sale di cristallizzarsi. In queste pozze l’acqua è limpidissima ed azzurra. Le zone limitrofe sono però molto fragili e costellate di piccoli buchi pieni di acqua; per questo motivo la guida ci fa camminare in fila indiana.
Proseguiamo per altri passi ed altri salar fino al passo de Jama che segna il confine tra Argentina e Cile. Alla frontiera ci siamo solo noi 2 e sette o otto tra poliziotti e doganieri cileni ed argentini. Sono tutti molto gentili ma dopo una minuziosa perquisizione ci sequestrano una mela ed un sacchetto di noci sgusciate. Saliamo moltissimo fino ad un passo di 5300 metri. Qui ci sono placche di neve dalla forma stranissima. Si tratta di cuspidi acuminate accostate le une alle altre. Credo che la forma particolarissima sia dovuta non soltanto al vento, ma al fatto che l’aria è talmente secca che l’acqua passa direttamente dallo stato solido a quello gassoso. Vediamo altri salar, poi iniziamo un percorso incredibile tra vulcani enormi e per niente rassicuranti. Il più imponente è il Licancabur che è un cono perfetto e nero. Le valli sono evidentemente costituite da materiale piroclastico con un sottilissimo velo di rada vegetazione. Mandrie di vigogne scorrazzano libere.
Ad un certo punto si vede in basso, molto distante, il salar di Atacama. A quel punto la strada inizia a scendere, per una ventina di chilometri, senza una curva con pendenza costante (circa il 30%) Sono presenti molte corsie di ghiaia segnalate come vie di fuga ma dubito che in caso di guasti ai freni i camion stracarichi riescano ad imboccarle. Vediamo lo scheletro di un bus a due piani che è capottato un paio di volte poi ha preso fuoco. Intorno ci sono ancora residui di valige bruciate e di scarpe da ginnastica. Scendiamo a San Pedro giusto in tempo per il tramonto che è molto colorato. Ceniamo e facciamo un po’ di indagine sui tour al Salar de Ujuni in Bolivia, poiché abbiamo scoperto che l’agenzia alla quale pensavamo di affidarci ha una pessima reputazione e referenze su FB e su Trip advisor negative. Scegliere è comunque veramente difficile. Il tour ha più o meno sempre lo steso itinerario, e lo stesso prezzo, ma non si capisce dove ti mandino a dormire. Tutti ti dicono che le sistemazioni sono molto spartane e che ti affittano il sacco a pelo, ma nessuno ha una foto delle stanze o dei dormitori collettivi.
Decidiamo finalmente da chi acquistare il tour de Ujuni e lo confermiamo. Andiamo poi all’ufficio del turismo per vedere cosa abbiamo lasciato indietro a San Pedro. Ci mancano il museo delle meteoriti, il museo archeologico e la valle di Marte. Il museo delle meteoriti è fatto molto bene ed è organizzato egregiamente dal punto di vista didattico. Insegna a classificare ed a riconoscere le meteoriti. Può sempre risultare utile. Sono esposti molti tipi di meteorite e sono tutte state raccolte nel deserto di Atacama.
Raggiungiamo poi l’ingresso principale della valle di Marte. Percorriamo 3 km in auto in un canyon di pietra rossa con formazioni rocciose (tanto per cambiare) assurde, finché raggiungiamo un’altissima duna si sabbia dove alcuni ragazzi scendono con la tavola. Proseguiamo a piedi per un po’ fino a vedere il punto panoramico. Torniamo indietro e rientriamo nella valle dall’ingresso posteriore. Da qui si può raggiungere il punto panoramico con la macchina ed una brevissima salita piedi. Dal punto panoramico la visuale è stupefacente e decidiamo di tornarci al tramonto. Raggiungiamo il museo archeologico che però invece di aprire alle 2 come ci avevano detto apre alle 2.30. Il museo è piccolino ma estremamente interessante e ben organizzato. Vi sono molti manufatti dei Tiuanaku che vissero nell’Atacama dal 7000 a.c. Inviamo una email alla società mineraria per prenotare una visita alla miniera di rame di Calama per il giorno dopo, ma non rispondono.
Torniamo in camera per riorganizzare i bagagli per la restituzione della macchina e per il tour di Ujuni. Usciamo di nuovo per il tramonto. Torniamo al belvedere. Questa mattina era deserto, adesso è pieno di pulmini delle agenzie con tavoli imbanditi per l’aperitivo. Dopo il tramonto cena e rientro in albergo.
Siamo un po’ delusi perché la direzione della miniera non ci ha risposto e quindi non abbiamo la prenotazione indispensabile per visitare la miniera di rame più grande del mondo. La giornata si presenta un po’ inutile. Dobbiamo andare fino a Calama per restituire la macchina poi tornare a San Pedro. Pensiamo di provare ad andare all’ufficio del turismo di Calama per vedere se si può recuperare l’appuntamento per la visita. Cerchiamo di raggiungere il centro ma veniamo continuamente deviati dalla polizia. Vediamo assembramenti e sentiamo rulli di tamburi. Siamo un po’ preoccupati perché pensiamo ad uno sciopero. Poi chiediamo ad un ciclista, e ci dice che non è uno sciopero ma la festa per la Vergine del ferragosto. Cerchiamo un posto per fare lavare la macchina (che è veramente sudicia, con 3 dita di terra rossa dovuta agli sterrati) ma sono tutti chiusi per il ferragosto. Troviamo uno che ci accende gentilmente l’idropulitrice e ci permette, dietro un modesto compenso di lavarci la macchina da soli. Adesso capiamo perché dalla miniera non ci hanno risposto.
Oggi è festa e non può esserci alcuna visita. Siamo molto delusi. Poi pensiamo di andare a vedere questa processione. Siamo sorpresi perché non si tratta di una processione ma di una sfilata di tutte le confraternite della Città. Ogni confraternita è preceduta da un veicolo decorato in modo sgargiante che trasporta una versione coloratissima della Madonna, seguito da una banda che suona come una forsennata e da una serie di danzatori con costumi incredibilmente elaborati che danzano con tutte le energie che hanno in corpo. Seguiamo i danzatori fino alla piazza davanti alla chiesa ove si svolge una messa all’aperto. Chiediamo quanto dura la festa e ci dicono che durerà fino al tramonto. Risultato, fotografiamo come pazzi un paio di ore, poi portiamo la macchina all’aeroporto, ci facciamo portare da un taxi in centro a Calama alla partenza del pullman che ci riporterà a San Pedro. Avevamo prenotato due posti ieri sul bus delle 16, 30 ma inspiegabilmente la prenotazione non risulta. Per fortuna ci sono dei posti sul bus delle 16,45 così compriamo i biglietti e torniamo a seguire la sfilata (con una breve pausa per uno spuntino in una specie di fast-food). Fotografiamo fino allo sfinimento. Riusciamo ad infilarci in uno stadio di basket trasformato in chiesa ove si svolge uno strano rito religioso. Il prete vestito di bianco indossa un cappello andino coloratissimo e benedice con nuvole di incenso tutti i prodotti alimentari portati dai fedeli che poi lascia ai piedi delle statue della madonna che tutte le confraternite hanno smontato dalle macchine e deposto a semicerchio. Molti danzatori assistono alla cerimonia dagli spalti, mentre fuori continua la sfilata. Alcuni indossano dei costumi che li ricoprono completamente di vera volpe artica e continuano a ballare anche se ci sono 30 gradi. Vediamo gente obesa, visibilmente provata, che continua a ballare anche se sembra che stia per crollare al suolo. Alcuni danzano con i calzini e le scarpe in mano (evidentemente i piedi facevano così male da non poter più sopportare le scarpe) ma non mollano. Sembrano tutti in preda ad un fervore religioso assoluto.
Alle 16,45 precise il pullman è partito e noi siamo esausti ma entusiasti per una giornata che dopo una prima delusione si è rivelata interessantissima. Arrivati a san Pedro dopo il tramonto (goduto benissimo dal pullman in tutti i suoi spettacolari colori) ceniamo benissimo ed ad un prezzo ragionevole in un ristorante indio, poi a piedi al buio (con le lucine in testa) percorriamo circa un km per raggiungere il Lodge, dove ci addormentiamo esausti.
Partenza alle 7,30 da San Pedro. Il pulmino dell’agenzia passa puntualissimo a recuperarci. Siamo in 6. Con il pulmino raggiungiamo la frontiera boliviana dove perdiamo un po’ di tempo perché una ragazza del gruppo è americana e non la vogliono far entrare. Alla fine dopo il pagamento di una supertassa ed un regalo in dollari riesce a risolvere la situazione. Nel frattempo l’autista ci prepara un’ottima colazione di fianco al pulmino. Passata la frontiera carichiamo tutti i bagagli sul tetto di una Toyota Land cruiser e conosciamo Omar il nuovo autista. Subito dopo partiamo alla volta della laguna blanca. Si chiama così perché è congelata. Il paesaggio è vulcanico con puna di alta quota. Raggiungiamo poi la laguna verde, che come dice il nome ha un colore bellissimo, ed è popolata da una piccola colonia di fenicotteri, che però si tengono a distanza di sicurezza e se non si è dotati di un 600 si vedono solo dei puntini rosa.
Mentre cerchiamo di fotografare i fenicotteri, i nostri compagni di viaggio fanno il bagno in una pozza termale. A noi l’idea non piace perché l’acqua è molto calda, ma quando si esce fa un freddo cane. Qui ci viene servito un ottimo pranzo. Subito dopo partiamo per i Geyser del sol de magnana. Il complesso è molto più piccolo di quello del Tatio e vista l’ora, meno affascinante, però non è male. Raggiungiamo i 5000 di quota ed ha me , non so se per la quota, la coca masticata che ci ha distribuito l’autista, o l’aver inalato abbondantemente fumi vulcanici, gira parecchio la testa. Così per la prima volta prendo una pastiglia per il mal di altitudine. Raggiungiamo quindi la laguna colorada (rossa) con una vastissima colonia di fenicotteri, che questa volta sono molto vicini e si possono fotografare. Siamo benedetti dalla bellissima luce che precede il tramonto, ed i vulcani che circondano la laguna sono spettacolari. Mentre ci allontaniamo il sole tramonta con colori sorprendenti ovunque. La strada (come è stato per tutto il giorno) è una pista di pietre e sabbia. Dopo due ore raggiungiamo il nostro dormitorio. E’ una costruzione squallidissima con 2 bagni in comune su più di 50 persone. La cena è decente. Appena finito andiamo subito ad infilarci nel sacco a pelo.
Alle 9 partiamo da Villa del mar e vediamo due siti rocciosi con rocce dalle forme curiose e particolarmente erose. Il primo sito è famoso per una roccia a forma di coppa del mondo, il secondo per una roccia a forma di cammello, il terzo per assomigliare ad una città fortificata . L’effetto oltre ai contrafforti rocciosi e dovuto alla presenza di numerose finestre. Vediamo la laguna “” scar” (niente di speciale) poi la laguna nera e pranziamo in una fattoria. Da li ci portano poi al canyon dell’anaconda. Il canyon è veramente profondo e si chiama anaconda perché il tortuoso fiume verde al fondo visto dall’alto sembra veramente un’anaconda. Ci avviciniamo poi ad una laguna dove pascolano i lama e li fotografiamo da vicino (non troppo per evitare gli sputi). Proseguiamo tra valli dove si coltiva la quinoa. Alcuni versanti sono caratterizzati da vecchi muretti in pietra che formano disegni complessi. Raggiungiamo un paesino insignificante, poi ne raggiungiamo un altro Laoja? Molto affascinante perché mezzo abbandonato, con un treno abbandonato da anni su rotaie inutilizzate con un vecchio essiccatoio in rovina. Arriviamo poi al nostro albergo di sale in un posto sperduto sul bordo del salar. Non è brutto ma, passi che non ci sia il bagno in camera, passi che ci sia solo una doccia funzionante per 50 persone e solo 2 wc, ma che per fare la doccia tu debba pagare, che se vuoi un asciugamano tu lo debba affittare, che nell’unico lavandino disponibile non ci sia un dispenser di sapone, ne una misera saponetta e nel bagno non ci sia carta igienica (ma neanche il porta-rotoli, quindi non è proprio prevista) mi sembra un po’ troppo.
Sveglia alle 4,15 Partenza per vedere l’alba sull’isola Incawashi. In mezzo al piatto totale del salar (a quest’ora nero) si raggiunge un’isola di rocce vulcaniche coperta di cactus a candelabro millenari. La salita è per me faticosissima (siamo a 3600m di quota). Quando siamo in cima sorge il sole. Lo spettacolo è bellissimo (ma in foto rende pochissimo). Proseguiamo poi in un posto in mezzo al salar dove sono evidenti gli esagoni di cristallizzazione. Qui passiamo un paio di ore a fare gli stupidi con i telefonini e le tante macchine fotografiche giocando con effetti prospettici ed illusioni ottiche divertenti.
Proseguiamo poi per il primo hotel di sale (ora inattivo per inquinamento) con il vicino monumento della Parigi Dakar e le bandiere di tutti i paesi. Raggiungiamo alcune sorgenti che bucano il salar formando dei piccoli laghetti. Raggiungiamo Colchani ricca di bancarelle con ogni ciapa-ciapa. Mi compro un altro pezzo di sale (stupendo). Pranziamo ad Ujuni (con carne di lama buonissima). Raggiungiamo il cimitero dei treni. Qui giacciono abbandonati dal 1860 alcune motrici a vapore ed alcuni vagoni, lasciati li quando gli inglesi abbandonarono il commercio di minerali con la Bolivia. I giochi di ruggine e sabbia sono molto suggestivi. Fine del tour. Ci riportano al nostro albergo che è veramente lussuoso e con una suit per 6 persone tutta per noi. E’ fatto di sale ma non ha nulla a che vedere con quelli degli ultimi giorni. Mi faccio finalmente una doccia e mi lavo i capelli perché, massimo del lusso, c’è anche l’asciuga capelli. Facciamo un giro per il paese (che è piccolino) vediamo le donne con la bombetta che vendono al mercato ma non si lasciano fotografare. Scopro quanto sono buone le fave tostate con il sale, ed i croccanti di grano turco. Compriamo i biglietti per il bus per La Paz per dopodomani. Cambiamo i pesos argentini (che nessuno vuole) ed un po’ di euro e ci informiamo su cosa fare domani. Ceniamo in pizzeria (molto bene) poi distrutti a letto alle 8,30.
Al mattino facciamo un giro per Ujuni. Questa volta metto un 35 mm molto piccolo e scatto con la macchina a vita guardando dal display girato in orizzontale. Mi notano meno, ma non del tutto, in compenso inquadrare è più difficile e sono costretta a lavorare in automatico. Ho letto sulla Lonely che ad Ujuni c’è un museo di archeologia che espone alcune mummie ed alcuni teschi allungati. Imposto museo su Sigic e camminiamo per un chilometro e mezzo fino ad un bel museo ferroviario dove ci dicono che il museo archeologico è chiuso per restauri. Alle 4 partiamo per una escursione sulla parte bagnata del salar. Ci sono 15 cm di acqua. L’agenzia ci fornisce di stivali di gomma e 4 compagni di viaggio buffissimi. Sono 4 ragazzi coreani con il poncio. Fotografiamo il tramonto, e come d’abitudine la guida ci fa fare un sacco di scimmiate per fare foto buffe. Aspettiamo l’oscurità e la via lattea si vede benissimo. Scattiamo parecchio ma poi rinunciamo perché fa veramente troppo freddo. Al ritorno ci rifugiamo in un ristorante con l’ansia di mettere qualcosa di caldo nello stomaco.
In mattinata ci riposiamo un po’ poi riorganizziamo le valige per il trasferimento a La Paz. Alle 11 lasciamo la camera, ma possiamo lasciare in custodia le valige in albergo. Alle 11, con un taxi, ci rechiamo a Pulacayo sito di una miniera di oro ed argento un tempo molto attiva, ora quasi abbandonata (comunque ci lavorano 500 operai) per l’allagamento delle gallerie principali a causa della presenza di geiser bollenti ed esalazioni di ossido di carbonio. Visitiamo il villaggio semiabbandonato che un tempo ospitava migliaia di operai. Abbiamo la fortuna di essere condotti dal capo officina a visitare l’officina dove vengono preparati e riparati gli attrezzi necessari in miniera. L’officina contiene moltissimi macchinari; i più antichi sono inglesi del 1860, poi altri un po’ di tutte le epoche comprese attrezzature tedesche del 1945, quando il proprietario era teutonico ed aveva importato un bel po’ di minatori salvandoli dai campi di sterminio nazisti, oltre ad attrezzature utili per la fabbrica che produceva attrezzature anche per le miniere di Potosì. Qui ha viaggiato il primo treno della Bolivia (una locomotiva minuscola oggi esposta in un giardino) il primo stadio della Bolivia, il primo Computer. A vedere il villaggio quasi tutto di fango sembra quasi impossibile. Fotografiamo il treno con il vagone che fu assaltato da Buch Cassidy (ci sono ancora i fori dei proiettili). Al ritorno il tassista ci fa vedere l’edifico dove c’era il museo di archeologia oggi chiuso. Un modernissimo palazzo bianco con facciate a specchio. Che sia in restauro mi sembra un po’ strano. Però è evidentemente vuoto. Torniamo poi a pranzare a Uyuni poi visitiamo il museo dei treni. E’ molto interessante. Contiene delle locomotive enormi. Non sono restaurate ma prelevate nello stato in cui si trovavano nel deposito all’aperto, ed inserite in un capannone. Per fortuna qui l’aria è secchissima e quindi la ruggine procede molto lentamente.
Torniamo un attimo in albergo perché sono uscita poco vestita e muoio di freddo. Dopo un po’ ci facciamo portare al cimitero dei treni per fotografarli al tramonto. Alle 7,30 dobbiamo trovarci alla partenza del bus per partire alle 8 alla volta di La Paz.
Il bus è stato stupefacente. Viaggiavamo con Todoturismo, che fa servizio da Uyuni a La Paz. Il bus era nuovissimo, pulitissimo, a due piani. Le poltrone reclinabili erano degne di quelle di un aereo in prima classe. Appena arrivati un cameriere in guanti bianchi ci ha servito una cena leggera. Siamo partiti puntuali. Purtroppo non sono riuscita chiudere occhio, perché a differenza dell’aereo, che in condizioni normali non da scossoni, qui si sentono le accelerazioni, i rallentamenti, e nelle curve si piega in modo poco rassicurante. Dovevamo arrivare alle 6,30 ma , non si sa come, sono riusciti ad arrivare alle 4,30. Ci hanno spiegato che era per evitare una manifestazione del trasporto privato che avrebbe potuto bloccare il traffico in tutta La Paz per l’intera giornata. Ci siamo fatti consigliare su come scegliere un taxi evitando pericolosissimi abusivi. Siamo arrivati in albergo alle 5 meno un quarto, quando il ceck in era previsto alle 12, ma il proprietario è stato così gentile che ci hanno dato immediatamente una camera, così abbiamo potuto riposarci qualche ora. Alcune parole vanno spese per l’hotel Consolado . Si tratta di un vecchio edifico sede del consolato di Panama fino al 1995, che mantiene una sua personalità ed un fascino speciale. L’arredamento è d’epoca, molto accogliente. Il bagno ha al centro una vecchia vasca in ghisa con le zampe. Farci la doccia non è assolutamente semplice, però è carina. Il wc modernissimo è in un angolino sacrificato dietro la porta di una sala di 3x 3. Alle pareti ci sono ovunque fotografie di ottimo gusto. Quando ci siamo svegliati, ci hanno preparato una lauta colazione, servita nella serra ottocentesca nel giardino pieno di fiori, dopo di che siamo andati al museo archeologico, che è nello stesso isolato
Finalmente abbiamo visto i crani allungati che inseguivo da tutto il viaggio!!!! Il mistero delle suture craniali si infittisce. Alcuni crani hanno le suture, nei bambini ovviamente sono più evidenti, ma nei crani più vecchi la struttura ossea sembra più spessa e non vi è traccia di sutura frontale. Molto interessante!!! Organizziamo un giro a Tiwanaku per domani, nel frattempo andiamo a vedere la chiesa di San Francisco ed il retrostante mercado de Los brugos. In realtà, a parte un grande quantità di feti di lama e cuccioli di lama essiccati, veramente macabri, ed una quantità imprecisata di erbe, si vendono più che altro souvenir per turisti. Dopo aver girato un po’, prendiamo l’ovovia azzurra dopo di che ne cambiamo 7 o 8 ed in questo modo, senza alcuna fatica, sorvoliamo l’intera città quartiere per quartiere, e ci facciamo un’idea “a volo di uccello” di come siano diversi tra loro. E’ decisamente impressionante questa città che si è espansa invadendo diverse valli arrampicandosi su pendii vertiginosi, alcuni son così ripidi che il terreno frana sotto le fondazioni delle case che restano in parte a sbalzo sul vuoto. Una di queste linee ci porta ad un mirador circa 800 m più in alto del centro città. Tranne un paio di corsi circondati da grattaceli moderni, il resto è costituito da case con l’ossatura di cemento ed mattoni a vista, con i ferri fuori e prive di tetto. Il contrasto tra queste “costruzioni” e la modernissima ovovia che le sorvola è estremamente impressionante. Andiamo a mangiare in un messicano molto carino. Passiamo un attimo in albergo per riposarci poi gironzoliamo un po’ per il quartiere dei brugos. Ceniamo in un ristorante pieno di anticaglie e di italiani (che qui normalmente sono una rarità), ma molto carino.
Anche oggi in città c’è un gran caos a causa di continue manifestazioni contro il presidente socialista Evo Morales. Ad ottobre ci saranno le elezioni e l’atmosfera si sta surriscaldando. Evo Morales era stato eletto con una larga maggioranza, ed ha fatto molte cose utili per il suo paese. Ha interrotto lo sfruttamento delle risorse minerarie del suo paese da parte delle potenze straniere. La costituzione prevede un massimo di due mandati, quindi non potrebbe più ripresentarsi a queste elezioni. E’ stato indetto un referendum per chiedere alla popolazione se intendesse derogare da questa norma. La popolazione a larga maggioranza si è espressa negativamente. Nonostante questo, alcuni giuristi hanno stabilito che Morales può ripresentarsi, e tra la popolazione c’è molta agitazione. Per uscire dalla città attraverso il quartiere Altiplano ci abbiamo messo un bel po’, poi abbiamo percorso i restanti 70km senza troppi problemi
Tiwanaku è molto interessante, ma come tutti i posti che sogni per tanto tempo, mi ha un po’ delusa La porta del sole è molto più piccola di come me l’ero immaginata per anni. Della piramide in realtà di vede solo uno spigolo. Il 90% del sito è ancora da scavare e si vedono emergere ovunque pietre perfettamente lavorate, con spigoli rettilinei perfetti. Sono ancora in loco solo le pietre più grandi, perché sia la chiesa del paese, che molte case, sono state costruite con pietre estratte dal sito. La nostra guida ci dice che molti reperti ceramici sono detenuti nelle case del posto. Vediamo anche la statua di Kontiki con tanto di barba e baffi. Il museo delle ceramiche è abbastanza interessante. Quello delle opere liriche ancora di più. Sono stati usati tre tipi di materiale: l’arenaria rossa, l’andesite grigia ed il Basalto nero (molto più duro). Anche questo è stato lavorato e lisciato perfettamente. Non si sa con utensili di quale materiale siano state realizzate le statue in basalto, perché non risulta che avessero avuto a disposizione materiali più duri (quale il diamante)
Dopo pranzo visitiamo anche Puma Punku. Anche qui quasi nulla è stato scavato. Ci sono solo ammassi di pietre in disordine (gli spagnoli cercando tesori avevano fatto saltare tutto con la dinamite). C’è un monolite di 135 tonnellate perfettamente lavorato con fori ed intagli che proviene da 6 km di distanza. Un altro monolite di una ventina di tonnellate proviene dal Perù. La cosa più impressionante sono le varie strutture ad H, ricavate da un unico elemento, con numerosi intagli concavi a forma di parallelepipedo, multipli con spigoli vivissimi (con una fresa non si possono ottenere) di precisione assoluta. Ci sono scanalature con fori interni di 5 mm a distanza perfettamente regolare. Tutti gli elementi presentano forme perfette angoli retti e decine di facce e di fori collegati fra di loro a 90 gradi. Le rocce più grandi presentano mortase. I tenoni in bronzo sono nel museo adiacente. Nessuno è in grado di datare le opere, ne di ricostruirne una collocazione logica, ne di spiegarne le tecniche di realizzazione (ancora oggi non realizzabili). In pratica un mistero totale.
Verso le 4 siamo tornati a La Paz . Abbiamo ancora fatto un giro in centro poi ci siamo fatti portare in piazza Ivarroa per cercare un ristorante in quella zona (che dicono sia molto elegante). Tutto ciò è vero. Ceniamo in un ristorante argentino. Non riusciamo a mangiare tutta la carne che ci portano, e spendiamo meno che al messicano. Torniamo a chiudere le valige. Domani si parte per il lago Titikaka.
Lorem ip
Partenza per il lago Titikaka con un bus turistico. Solita rottura nel traffico di El Alto (il quartiere più elevato di La Paz situato su di un altipiano sopra ai 4000m), il tutto aggravato da una guida che per essere gentile continuava a spiegarci tutto tipo “vedi quella è una venditrice di ananas” “Quella vende verdura” “le vecchiette comprano dopo aver verificato quale è il prezzo più basso” “se compri 10 kg di patate spendi meno che a comprarne uno, tanto si conservano” e simili ovvietà per tutto il percorso. Dopo circa 2 ore siamo arrivati ad un traghetto. Siamo scesi dal pullman che ha attraversato un braccio del Titikaka su di una chiatta traballante. Noi siamo saliti su di una vecchia barca malconcia con 25 persone e circa 10 giubbotti di salvataggio fissati alle pareti. Miracolosamente siamo arrivati sull’altra sponda. Altri 50 minuti di bus e siamo arrivati a Copacabana.
Il lago Titicaka è di un blu intenso. Il paesino è in una conca, ed è il solito agglomerato di ossature di cemento armato con tamponamenti approssimativi in mattoni, privi di serramenti o con schifezze di alluminio. L’insieme è tutt’altro che piacevole. La guida ci porta a mangiare in un locale abbastanza carino sul bordo del lago, dove mangiamo discretamente. (Trota di allevamento del Titikaka molto gustosa). Poi inizia il tour del paese con le solite bancarelle, il mercato di frutta e verdura. Se i locali si lasciassero fotografare ci sarebbero anche delle discrete occasioni fotografiche, ma non sono affatto disponibili. Visitiamo poi la chiesa della Virgin de Copacabana. Una enorme chiesa bianca del 700 con bordi gialli. Molto bella. All’interno un ricco fondale barocco rivestito di oro e di argento. La guida ci trascina al primo piano dove stanno celebrando la messa in una cappella alla presenza della vera Statua del Vigen (tutte le altre sparse ovunque, anche quella nella chiesa principale, sono solo riproduzioni). Il prete benedice i fedeli spargendo con generosità acqua Santa con una specie di mocio da un secchiello. La caratteristica della statua è che è rotante. Sabato e domenica quando la chiesa è piena di fedeli è girata verso di essi, gli altri giorni guarda il lago. Questo perché sul luogo ove sorge la chiesa prima vi era un altare dove erano posti gli idoli principali, ed erano tutti orientati verso il lago.
Davanti alla chiesa una fila di veicoli tutti decorati con fiori, ed altri ornamenti dai colori vivaci, aspetta la benedizione del prete con acqua santa. Segue un’annaffiatura con spumante, poi con birra, e con alcol, ed uno scoppio di mortaretti finale. Segue la benedizione dello sciamano tradizionale con il cappuccio rosso, fatta con l’uso di campanelli ed fumo di incenso (meno male che qui almeno non sputa). La guida voleva a tutti i costi portarci in cima al monte Calvario perché di li si vede bene il tramonto, ma eravamo tropo stanchi per percorrere il pendio ripido a più di 4000m di altezza, allora abbiamo optato per un moito (annacquato) sul tetto di uno dei locali del porticciolo (nonostante la visibile disapprovazione della gentilissima noiosissima guida)
Alle 8,30 imbarco verso l’isola della luna. Nella notte abbiamo visto diversi lampi ed all’alba avvistato una tromba marina (cioè laghina!! Eh eh!). Siamo un po’ preoccupati, ma la nostra guida dice che oggi farà bello. Salita sul battello, (una vecchia barca di legno dipinta di bianco, che ospita all’interno una 50ina di persone ed altrettante sul tetto) noto con piacere che ai nostri piedi ci sono due giubbotti di salvataggio. Non faccio in tempo a rallegrarmi che mi vengono portati via dal burbero capitano, che mi spiega che i salvagenti sono solo per le persone fuori sul tetto. Partiamo, ed il capitano ci chiude dentro legando le due ante della porta con un cordino. Questa è la sicurezza in Bolivia. Fortunatamente non piove e dopo due ore arriviamo all’”Isola della luna”, dove visitiamo un “collegio femminile “ di epoca Inca Qui le bambine entravano ad un anno ed uscivano a 14, dopo aver imparato a riconoscere le erbe, a preparare bevande sacre e no, a cucinare, conservare i cibi e danzare. L’edifico, anche se in rovina, lascia intuire quanto fosse bello e quanto fossero raffinate le decorazioni
Proseguiamo poi con un’altra ora di navigazione verso l’”Isola del sole”. Veniamo portati ad un pontile da dove si vede un altro edificio Inca poco più in alto. In teoria dovremmo scendere dalla barca, salire 200 m di mulattiera ripidissima per proseguire quasi in orizzontale per 1,5 ore e raggiungere la baia successiva, ove vi sono altre strutture Incaiche. Con il fiato corto per l’altitudine (siamo sempre comunque a 3800 msl) decidiamo di proseguire fino alle rovine in barca. Giunti alla baia veniamo portati ad un rustico ristorante. La nostra guida spiega alla cameriera che vogliamo due menù base (con trota ai ferri) più una trota ai ferri con patate fritte. Lo ripete due o tre volte perché la tipa continua a dire cose strane. Alla fine ci porta l’ordinazione sbagliata.
Saliamo su per una mulattiera molto ripida per raggiungere la fonte dell’eterna giovinezza dell’Inca, proseguiamo un po’ in orizzontale per vedere un bel giardino terrazzato, quindi scendiamo i 237 gradini della scalinata dell’Inca fino al muro dell’Inca (che è al livello del porticciolo). Non riusciamo a fotografarlo bene perché la gente occupa tutte le nicchie per ripararsi dal sole. Risaliamo in barca per altre due ore di navigazione. Questa volta la corrente è molto forte e continua a portarci fuori rotta.
Tornati a Copacabana dobbiamo aspettare due ore prima di poter riprendere il bus per La Paz. La nostra guida insiste per farci salire sul Calvario, e dopo l’ennesimo rifiuto, ci propone di attraversare il porto per vedere due bellissime statue. In realtà sono moderne rappresentazioni “plasticose” del Dio sole e della Dea luna. Poi la stessa guida sente della musica provenire da un cortile e ci trascina dentro per farci vedere le danze tradizionali dicendoci che si tratta di un matrimonio. In realtà era una festa di autotrasportatori. Dopo ogni danza bisogna bere un bicchiere di birra. Così erano tutti un po’ alticci e ci hanno a tutti i costi trascinati a ballare. Dopo un po’, con il fiatone, siamo riusciti a liberarci ed a salutare con mille baci abbracci e fotografie, i nostri nuovi amici per la pelle, che continuavano a strillare “Benvenuti in Bolivia!!” Quindi la guida ci voleva portare a vedere la statua antica della testa di un indiano. Gian si è rifiutato perché c’era da salire ed era molto stanco. Io sono andata a vederla. Quando ho fatto notare alla guida che si trattava di una statua molto bella ma moderna, mi ha risposto che però la pietra era antica. Dopo aver girato mezzo paese e salutato e chiacchierato con tutti spiegando che scandalosamente ci eravamo rifiutati di salire sul Calvario, abbiamo raggiunto Gian e finalmente siamo saliti sul Bus. Per strada abbiamo attraversato diversi posti dove aveva piovuto in bel po’. Tutto sommato con il tempo siamo stati molto fortunati! Dopo 3,5 ore siamo arrivati a La Paz. Talmente stanchi che abbiamo saltato la cena.
Al mattino presto ci facciamo scaricare da un taxi nella piazza Murrillo, dove c’è il “Palazzo del governo” e la “Cattedrale”. Camminando nei dintorni, raggiungiamo il museo dei metalli preziosi. In realtà si deve fare un biglietto cumulativo per il museo Murrillo, il museo storico, il museo della costa del pacifico e quello dell’oro e dei metalli. I musei sono tutti e 4 interessanti, non soltanto per quanto esposto, ma perché sono allestiti dentro vecchie case coloniali piene di cortili interni, ballatoi, portici e gallerie, e danno, insieme alle vecchie fotografie, un’idea abbastanza precisa della vita dei tempi andati. Le strade di La Paz sono sempre piene di cani di tutti i tipi e dimensioni. Hanno un padrone ma semplicemente vengono lasciati vagare per strada. Davanti ad un portone si ferma scodinzolando una specie di Jack Russel, pochi secondi dopo il portone si apre e qualcuno mette fuori un barboncino bianco, i due si scodinzolano e se ne vanno insieme. Al ritorno percorriamo il solito “Viale 16 luglio” in discesa fino all’hotel ma c’è una festa ed è tutto pieno di bancarelle veramente interessanti. Per le 11 torniamo in albergo e, recuperate le valige, ci facciamo accompagnare alla stazione dei bus. Saliamo sul bus a 2 piani per Arica. Il pullman parte puntualissimo in direzione del quartiere El Alto, dove si ferma per un’ora. Ci fanno scendere ed aspettare, poi salire su di un altro pullman ad un solo piano con dei sedili veramente enormi e comodi. Il quartiere è un brulichio di piccoli commerci. Sul pullman prima che partiamo salgono due signore che offrono servizi di cambia valute, una signora con le trecce ed un enorme gonnellone a vendere riserve di carica per i telefonini, uno che strilla per vendere i giornali, un altro che insiste per vendere riviste femminili che giura essere molto interessanti. Alla fine sale un mendicante che mostra una foto di se stesso molto più giovane, nudo, esibendo una cicatrice degna della peggiore autopsia.
All’1 finalmente si parte, e la strada dapprima attraversa un altipiano dove nella puna compaiono piccoli paesini con chiesette di adobe, strane costruzioni precolombiane che sembrano forni per i mattoni, e mandrie di lama ed alpaca. Poi si attraversano montagne, fino a raggiungere il confine in mezzo a vulcani altissimi (ben sopra i 6.000 mt) e dalla forma a cono perfetta, con il loro cappuccio di neve. Le operazioni doganali sono abbastanza semplici. Un Labrador ci annusa tutti, e soprattutto annusa i bagagli, in cerca di formaggio, ed altri prodotti alimentari. Individua con sicurezza una valigia, ed allora la poliziotta lo premia lanciandogli un gioco. Lui è felice e si rotola con la pancia all’aria. Nella valigia non si trova cibo ma biancheria e calzini molto sporchi (probabilmente origine dell’odore di formaggio). La strada poi procede tra lagune semi-congelate, popolate di fenicotteri ed anatre, nelle quali si riflettono vulcani spettacolari. Purtroppo il sole tramonta, con una luce delle più rosse che abbia mai visto, e non vediamo più il paesaggio, che deve essere veramente spettacolare, perché ci rendiamo conto che stiamo scendendo moltissimo (del resto dobbiamo passare da più di 5000 metri al livello del mare di Arica). Arriviamo ad Arica alle 9,30 di sera. Un tassista schizzato, dopo un po’ di giri trova l’hotel. Andiamo a mangiare in una pizzeria ad un isolato di distanza (che pare sia l’unica aperta del centro di Arica) Vediamo l’esterno della chiesa che è molto carina, ma ci rendiamo conto che Arica ha ben poco da offrire, ed il centro è minuscolo, e pieno di barboni che fanno la pipi ovunque.
Sveglia alle 6,15. Taxi in aeroporto, e dopo aver dovuto ridistribuire il carico tra le valige, (per evitare di spendere una fortuna in supplementi per sovraccarico) facciamo il chek in. Mentre prendiamo un the nel bar dell’aeroporto vengo chiamata perché il personale vuole ispezionare il contenuto del trolley dove o sistemato un bel po’ di minerali. Dopo averli visti mi fanno richiudere e tornare al mio the. Sorvoliamo buona parte del Cile, ed il paesaggio è montuoso, desertico e costellato di miniere. All’una atterriamo a Santiago. Affittiamo un’auto e raggiungiamo il nostro Hotel. Appena arrivati ci accorgiamo di aver perso il contratto dell’auto e torniamo all’aeroporto per farcene stampare un’altra copia. Nel tornare all’hotel il navigatore si scarica e pensando di poter fare da soli ci perdiamo e giriamo in tangenziale un bel po’. Poi riaccendo il navigatore per sfruttare l’ultima riserva di carica, ed in poco raggiungiamo il centro. Facciamo 4 passi per Santiago. Gironzoliamo anche all’interno dell’università cattolica. E’ un insieme di edifici a chiostri antichi collegati ad edifici moderni, dall’atmosfera molto piacevole. Torniamo in albergo a riposarci un po’ poi usciamo per cena in un ristorante molto carino e tipicamente cileno che si chiama Liguria (quello sotto il nostro hotel si chiama Piemonte)
Nella notte sono stata molto male. Deve essere stata colpa dell’acqua che mi hanno dato , che non era imbottigliata. Non la bevo mai, tuttavia pensavo che in una città come Santiago fosse sicura. Dato che oltre agli altri spiacevoli sintomi ho anche la febbre mi rassegno a prendere gli antibiotici.
Oggi andiamo a Valparaiso. La strada per arrivarci attraversa una pianura piena di frutteti e poi una zona di ampissimi vigneti e relative “estancias”. Valparaiso è sull’oceano e si inerpica su una serie di colline. Le case sono vecchie ed un po’ malandate, ma sono tutte ricoperte di murales coloratissimi, che ne fanno una città veramente variopinta. La parte pianeggiante ricorda un po’ Genova, un po’ la vecchia Marsiglia. Quella un po’ più in alto la vecchia Lisbona. Il tutto è piuttosto sporco, e dicono che sia pericoloso per gli scippi, anche se noi non abbiamo affatto quest’impressione. Dappertutto ci sono cartelli che indicano le vie di fuga in caso di tsunami, ed all’ufficio turistico (dove anche se sono gentilissimi, non sanno proprio nulla, neanche dove sono sulla cartina che ci regalano) ci dicono che domani ci sarà una grande prova di evacuazione. Chiedo come mai, e ci spiegano che qui gli tsunami sono piuttosto frequenti. I caffè ed i ristoranti sono molto belli, arredati con mobili vecchi ma di ottimo gusto. Il tutto è un po’ blasè. Andiamo poi a Vigna do Mar. Sinceramente è una città moderna senza alcun fascino. La costa è assediata da grattacieli da 20 -25 piani fondati sulla sabbia. Proseguendo lungo la costa verso nord si trovano invece angoli incantevoli che ricordano un po’ la California di Santa Barbara, con coste rocciose piene di uccelli (anche giganteschi pellicani) porticcioli con i pescatori che sistemano le reti. Torniamo a Santiago, gironzoliamo per il solito quartiere dei ristoranti e poi finalmente a dormire.
Oggi ci dirigiamo verso il Canjon del Maipo. E’ una zona turistica molto frequentata dai Cileni. Si tratta di una valle che all’inizio sembra ampia e piena di vigneti ma che poi si stringe progressivamente. Lungo il percorso ci sono una serie di paesini, ed in uno di questi c’è una festa delle forze armate, dove l’esercito ha allestito varie tende dove mostra i vari aspetti professionali dell’esercito. Sotto una tenda tagliano i capelli, in un altra c’è un ospedale da campo, sotto un’altra due avvocati ed uno psicologo fanno consulenza, poi ci sono le truppe andine con le loro attrezzature da scalata, ed infine l’UNIFOR con un’ istruttore che spiega come addestrano le truppe per le missioni di pace-keeping.
Tra alberi da frutta fioriti e mimose, la valle si stringe sempre di più, e la strada è sempre più utilizzata da enormi camion per il trasporto dei minerali. A fondo valle c’è una miniera di rame. A lato della valle c’è un enorme vulcano attivo (è lui che produce i minerali che i camion si affannano a portare via). In questo momento la situazione è tranquilla ma i cartelli indicano che con il semaforo verde si può proseguire nella valle, con il giallo no , con il rosso bisogna evacuare la zona, ed ovunque cartelli indicano l’unica via di evacuazione possibile (che è l’unica strada di fondovalle) accanto al torrente su cui i turisti fanno rafting. Proseguendo, la valle si stringe ancora, e la strada diventata di terra battuta, passa in mezzo ad enormi coni di deiezione su cui incombono enormi massi in equilibrio precario. Dopo un ponte in assi di legno la strada dovrebbe peggiorare, ma in realtà il fondo, benché pieno di buche, è talmente compattato dagli enormi camion, che risulta percorribile. Si intravvedono più in su, alla fine della valle, gli enormi gradoni della miniera a cielo aperto. Un po’ dappertutto ci sono ancora chiazze di neve. Adesso la temperatura è piuttosto alta, ma il mese scorso si sciava. Mi compro da una bancarella due pezzi di ossidiana, e raccolgo per strada alcuni pezzi che mi sembrano interessanti. Invertiamo la rotta, e ci fermiamo a metà strada in un elegantissimo ristorante sistemato in una casa di legno e vetrate panoramiche. Per darci un panino ci fanno aspettare più di un’ora e mezza, però il divano è comodo, il panorama bello, e la musica piacevolissima, quindi non ci dispiace affatto aspettare.
Rientriamo a Santiago un po’ stanchi. Alla sera cena nel solito quartierino con la casa con i capelli, poi ad imballare le pietre per il rientro
Visitiamo il mercato del pesce. In realtà ci aspettavamo qualcosa di diverso. Il mercato si trova sotto una bellissima struttura in ghisa e vetro ottocentesca. Una metà è occupata da ristoranti e negozi di souvenir dozzinali, l’altra da banchi di pesce appena arrivato. Ci aspettavamo qualcosa di meno turistico. Visitiamo il museo di belle arti. Si trova in un monumentale edifico che sta tra il neoclassico e l’art noveau. Gli spazzi sono ampi ed ariosi. Sinceramente le collezioni sono poco interessanti e risentono un po’ di una visione dell’arte strettamente locale. Facciamo ancora un giro in centro, visitiamo una mostra fotografica su Rapanui. Le fotografie ritraggono dettagli dei mohai in bianco e nero. La stampe sono realizzate in fine art ed un’ immagine di circa 1,2 m x 1,2 costa poco più di 300 euro. Pranziamo al mercato del pesce su di una balconata che ci permette di vedere dall’alto tutta la zona ristoranti, poi recuperiamo le valige ed andiamo in aeroporto.
Un viaggio EPICO, ma non estremo. Dopo un mese in costante viaggio eravamo stanchi, ma abbiamo visto moltissimo e i nostri occhi si sono riempiti di immagini che ancora oggi (2023) sono vivide. Un viaggio che quasi tutti possono fare, in quanto non ha richiesto attenzioni particolari sia nelle sicurezza che nel mangiare o dormire. Tutto è andato per il verso giusto, è vero, ma abbiamo incontrato sempre persone affidabili e gentili.
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