Madagascar 2024 un viaggio che non vorrei rifare mai più!
Un viaggio in Madagascar, lungo 21 giorni, che mi ha lasciato un mix di emozioni contrastanti. Da un lato, la bellezza mozzafiato dei paesaggi, la gentilezza della popolazione locale e l’efficienza del nostro autista e guida; dall’altro, la fatica fisica e mentale di affrontare un itinerario così impegnativo.
Abbiamo esplorato la parte centrale dell’isola e la costa ovest, evitando volutamente Nosy Be per riservarcela come meta rilassante in futuro. Il percorso si è rivelato una sfida continua: strade dissestate, mai riparate per anni, ci hanno costretto a viaggiare su un 4×4 che, nonostante fosse robusto, si è rotto ben tre volte.
Nonostante le difficoltà logistiche, il viaggio ha regalato momenti indimenticabili. Abbiamo mangiato bene, dormito in strutture accoglienti e visitato villaggi dove siamo stati accolti con una gentilezza disarmante. Fotografare la popolazione locale è stato un privilegio: i sorrisi genuini e i colori vibranti delle loro vite quotidiane rimangono impressi nella mia memoria.
Eppure, nonostante tutto questo, non rifarei lo stesso viaggio. La fatica fisica ha superato il piacere della scoperta. A differenza di altre esperienze africane, dove anche percorrere 500 km al giorno su piste sabbiose lascia intatta l’euforia di ripartire il giorno dopo, qui le condizioni delle strade hanno reso il viaggio più simile a una prova di resistenza che a un’avventura entusiasmante.
A tre mesi dal rientro, riguardando le foto, riaffiorano i ricordi più belli: i baobab maestosi che si stagliano contro il cielo rosso al tramonto, gli sguardi profondi degli abitanti dei villaggi. Ma la consapevolezza della fatica vissuta mi fa dire con certezza che non tornerei mai più a rivivere questa stessa esperienza.
La prima volta che la macchina si è fermata, ricordo di aver provato una sensazione mista di incredulità e preoccupazione. Eravamo nel mezzo del nulla, anche se erano solo le 7 di sera, era notte fonda. Eravamo circondati da paesaggi oscuri, e l’idea di essere bloccati lì, senza sapere quanto tempo ci sarebbe voluto per ripartire, mi ha fatto stringere lo stomaco. Ho fissato il nostro autista e la guida con una sorta di ansia silenziosa, cercando di capire dalle loro espressioni se la situazione fosse grave o meno. Loro, però, erano calmi, quasi serafici. Sembrava che per loro fosse una cosa del tutto normale.
Mentre smontavano il cofano e si chinavano sotto il veicolo con una naturalezza disarmante, oltretutto eravamo in una zona senza illuminazione, e le luci della macchina erano spente, per non scaricare la batteria io mi sono reso conto di quanto fossi impreparato a situazioni del genere. In quel momento ho capito che viaggiare in Madagascar non è solo una questione di paesaggi mozzafiato o incontri culturali: è anche sapersi adattare agli imprevisti.
La seconda volta ero già più preparato. Quando abbiamo sentito quel rumore strano provenire dal motore, ho alzato gli occhi al cielo e ho pensato: “Ci risiamo.” Ma invece di agitarmi, ho deciso di concentrarmi su ciò che avevo intorno. Siamo scesi dalla macchina e iniziato a osservare il paesaggio: un villaggio lontano con tetti di paglia che sembrava uscito da un sogno, bambini che giocavano scalzi lungo la strada sterrata e un cielo così azzurro da sembrare irreale. Abbiamo tirato fuori la macchina fotografica e o cercato di catturare quei momenti come se fossero un dono inaspettato.
La terza volta? Beh, a quel punto era quasi diventata una routine. Mi sono reso conto che nonostante tutto, nonostante le rotture, la polvere e il caldo, non avevamo mai perso nemmeno una mezza giornata di viaggio. Ogni volta eravamo riusciti a ripartire, come se niente fosse successo.
Alla fine, queste rotture non sono state solo degli ostacoli lungo il percorso; sono diventate parte integrante del viaggio stesso. Mi hanno insegnato a rallentare, ad accettare l’imprevisto e a trovare bellezza anche nei momenti di difficoltà. E sebbene all’inizio mi sembrassero delle disavventure insormontabili, ora le ricordo con un misto di affetto e ammirazione per la resilienza del nostro team e per la mia capacità, forse inaspettata, di adattarmi alla situazione.
Viaggiare in Madagascar significa spesso confrontarsi con una realtà molto diversa da quella dipinta dai racconti turistici. La descrizione idilliaca di foreste pluviali rigogliose e lemuri che saltano tra i rami è purtroppo una visione sempre più distante dalla realtà. La deforestazione è un problema drammatico: il Madagascar ha perso quasi un milione di ettari di foresta pluviale tra il 2002 e il 2021, e si stima che le foreste potrebbero scomparire completamente entro i prossimi 25 anni se la situazione non cambia. Questo fenomeno è legato alla povertà diffusa, che spinge le popolazioni locali a utilizzare il legno come combustibile principale e a praticare il “tavy”, una tecnica agricola che prevede di bruciare la vegetazione per creare terreni coltivabili.
Anche i lemuri, simbolo dell’isola, sono in grave pericolo. Nonostante siano protetti dalla legge, la caccia illegale è diffusa, alimentata dalla necessità di carne a basso costo. La carne di lemure viene spesso venduta a metà del prezzo di quella bovina, rendendo questi animali vulnerabili alle popolazioni più pover. Questo ha portato oltre il 90% delle specie di lemuri a rischio di estinzione.
Questa realtà emerge solo viaggiando lentamente, esplorando i villaggi e parlando con le persone. È un’esperienza che può essere tanto affascinante quanto dolorosa, perché rivela l’enorme divario tra le promesse delle guide turistiche e le difficoltà quotidiane della popolazione locale. Viaggiare in Madagascar non è solo un’immersione nella bellezza naturale, ma anche una lezione sulla fragilità di un ecosistema unico al mondo e sull’impatto delle attività umane su di esso.